Ebbene sì,
forse lo avevate intuito vedendo nascere il nuovo dominio, forse vi chiedevate quale scopo esso avesse. Qualunque domanda vi siate posti, ora arriva la risposta:
Nero Cafè cambia casa!
Nasce
nerocafe.net, il nuovo spazio dedicato al giallo, al thriller, all'horror e al mistero.
Non spaventatevi però. Niente andrà perso! Su nerocafe.net trovate già tutti i nostri vecchi contenuti, si tratta solo di diventare un po' più "autonomi" e un po' più "maturi".
Nulla cambia per chi ci segue da sempre.
Anzi, troverete un più facile accesso ai nostri concorsi, ai contenuti in digitale di Knife, alle rubriche specializzate che ormai ben conoscete.
Per relazionarvi con noi e il nostro staff, sempre più presente è il
forum, che sta aumentando utenti e visite in maniera esponenziale.
Le novità per il prossimo futuro sono ancora tante ma, come sempre, ci piace lasciarvi col fiato sospeso. D'altronde, non saremmo appassionati "di genere" se così non fosse!
Un saluto a tutti i nerocafettiani... ma giusto un cenno, perché ci trovate ad aspettarvi di là!
E' partito, 10 Novembre, l'undicesima edizione di Trieste Science+Fiction. Fino al 13, il capoluogo friulano ospiterà cult movies e attese anteprime, grandi nomi del cinema e giovani talenti, ma anche retrospettive, classici e rarità.
Le locandine del festival.
Per proseguire con la serie di grandi nomi, che nelle scorse edizioni hanno omaggiato il festival (tra gli altri si ricordano Dario Argento, Joe Dante, Pupi Avati, Lamberto Bava, Terry Gilliam, Carlo Rambaldi....) anche quest'anno sono previsti personaggi di prim'ordine. Uno in particolare, molto noto ai lettori di Nero Cafè: George Andrew Romero! Oltre ad essere l'ospite d'onore, il regista di La notte dei morti viventi riceverà l'Urania d'Argento, premio alla carriera realizzato in collaborazione con la casa editrice Mondadori. La versione "director's cut" del già citato capolavoro horror, verrà proiettato venerdi' in versione originale, sottotitolata.
Una delle caratteristiche del festival, che si evince anche dal nome stesso, è la commistione tra finzione e scienza. L'avvio è affidato alla scienza con Abdus Salam. The Sream of Symmetry, il documentario sulla vita del celebre scienziato.
Altra curiosa anomalia è "La Cappella Underground", sede dell'omonima associazione, che organizza l'evento. Una cappella sconsacrata, è infatti un luogo anomalo e suggestivo, per questo centro, che si prefigge di promuovere il cinema di genere. Un luogo Nero di Trieste, che ci auspichiamo di visitare un giorno, anche per il consistente archivio di titoli di genere in vari formati.
Sabato 12 novembre 2011 la Bel-Ami Edizioni presenterà a Roma la raccolta di racconti horror dal titolo I racconti del Sangue e dell’Acqua di Daniele Picciuti (v. scheda).
L'appuntamento è alle ore 18.00, presso la libreria
Altroquando in Via del Governo Vecchio, 80, 82, 83 (zona Piazza
Pasquino).
La casa editrice Bel-Ami Edizioni presenterà il volume dal titolo I racconti del Sangue e dell’Acqua,
opera del nostro nerocafettiano Daniele Picciuti.
Tredici storie sospese tra realtà e incubo.
Un viaggio nell’Italia misteriosa attraverso un doppio ciclo vitale.
Il sangue, linfa dell’uomo e di ogni creatura animale, e l’acqua, fonte
prima dell’esistenza di ogni forma di vita sulla Terra. Tredici storie
si dipanano sospese tra la realtà e l’incubo, a volte trasformando le
paure e le debolezze umane in vicende a tinte cupe, dal sapore
lovercraftiano, a volte strisciando attraverso le tare della mente –
giocando con le apparenze – fino a sviscerare i mali dell’anima. A volte
semplicemente mostrando ciò che è nascosto, ciò che l’uomo non può o
non vuole vedere.
La nostra giurata eccellente, Barbara Baraldi, ha letto accuratamente i quattro racconti finalisti dell'edizione di ottobre, arrivando a decretare, non senza difficoltà, quello vincitore:
Ollìnn (di Lorenzo Marone)
Di seguito, il commento della nostra Barbara:
«La narrativa è fatta dai
personaggi, e Ollìn è uno che lascia il segno».
Complimenti agli altri autori, che si sono contesi la vittoria sul filo del rasoio, rendendo piacevole la lettura alla nostra giurata, rimasta indecisa fino all'ultimo su dove far pendere l'ago della bilancia.
E complimenti a Lorenzo Marone, che entra di diritto a far parte dell'antologia del Nero Lab.
- Il Signor "Aguzzino"?
Guardo attraverso il budello steso ad
asciugare. Un demonietto fetido si piega su se stesso, sgranando gli
occhioni cerulei. La mano ossuta mi tende una lettera sbruciacchiata.
- Che vuoi, verme?
Quello si accartoccia ancor più e attacca a tremare. La letterina trema tra le sue dita come se contenesse un vibratore acceso.
- I...i... risultati... Sua Eminenza.
Mi alzo dalla mia sedia di carne umana purulenta e avanzo seccato verso quell'essere ripugnante.
Gli strappo la lettera dalle mani e per tutta risposta quello fa un salto, gemendo.
- Dileguati, scarabocchio!
Il
disgustoso umanoide non se lo fa ripetere e in breve sparisce dalla mia
vista, lasciandosi dietro un fetore che sa di uova rancide e muffa.
Consulto i punteggi. Pare tutto a posto. D'altronde, se così non fosse, mi toccherebbe mettere al rogo qualcuno.
È ora di enunciare i risultati finali, dunque.
PODIO
2.
Un povero mostriciattolo, di Attilio Facchini: 54 punti (ore 21.59)
3.
Un cranio è una testa vuota, di Marco Migliori: 55 punti
RANKING ZONE
4.
Battuta di caccia, di Luca Romanello: 61 punti
5.
Amazzonia, di Nerina Codamozza: 64 punti
6.
Orchetti smarriti, di Andrea Viscusi: 68 punti
ALBO D'ORO
7.
Riserva di caccia, di Giuseppe Agnoletti: 99 punti
8.
L'apparenza inganna, di enrica Aragona: 100 punti
9.
Si chiude la stagione di caccia, di Ariele Agostini: 101 punti
10.
Troll, di Chiara Paci: 109 punti
11.
Samus Aran, di Paola Preziati: 114 punti
12.
La trappola, di Patty Barale: 128 punti
Anche la seconda edizione del
Nero Lab si è conclusa e la giuria, dopo ampia discussione, ha raggiunto il verdetto.
L'alta qualità degli scritti di ottobre ha contribuito a rendere più serrata la lotta ai tre posti disponibili per la finale, tanto che un pari merito ha consentito a ben quattro racconti di conquistare l'accesso alla fase ultima del concorso.
Ed ecco, in rigoroso ordine casuale, i quattro finalisti:
Assaggia. È per te (di Enrica Aragona)
Progetto Galileo (di Luca Pagnini)
Ollìnn (di Lorenzo Marone)
Un altro nano (di Maurizio Bertino)
Ed ora la parola alla nostra giurata eccellente, Barbara Baraldi, per l'esito finale.
Si svolgerà dal 8 al 12 Novembre a Torino, il Tohorror Film Fest.
Attese anche qui schiere di non-morti su grande schermo e spettatori, opportunamente truccati.
La città piemontese è universalemnte conosciuta come la capitale del mistero ed è proprio il caso di dire, che il terrore torna a casa per l'undicesima volta.
Nato nel 1999 da un'idea di Marco Gasparino e Pino Chiarappa, è divenuto uno dei festival di genere più importanti di Italia. Ha ospitato in questi anni illustri protagonisti del thriller e dell'horror, come Dario Argento, Massimo Picozzi, Sergio Stivaletti, Federico Zampaglione, Ivan Zuccon, Claudio Simonetti e molti altri.
Il Tohorror Film Fest comprende anche prime cinematografiche, monografie, maratone cinematografiche notturne e poi ancora spettacoli teatrali e di danza, performance, mostre di quadri, fumetti, locandine e fotografie, laboratori, dibattiti, incontri con gli autori, presentazioni di libri, visite notturne ai luoghi della Torino Misteriosa, visite al Museo di Scienze Naturali, al Museo di Antropologia, al Museo Lombroso, concerti e party furiosi.
Fenomeno zombie protagonista di serate a tema e la premiazione del "Best Zombie 2011", dedicato ai più spaventosi trucchi dei partecipanti.
Di seguito la prima puntata del videocast "Road To Horror":
Per gli altri video e il programma completo, vi rimandiamo al sito ufficiale:

L’Associazione Culturale Nero Cafè indice il bando di concorso Nero Zombie, selezione letteraria per romanzi di genere Horror aventi come tema gli zombie, altrimenti detti morti viventi.
Le opere dovranno avere una lunghezza compresa fra 150.000 e 300.000 caratteri spazi inclusi.
Romanzi che divergeranno dai suddetti limiti di poche migliaia di caratteri potranno essere ugualmente accettati a giudizio insindacabile della Redazione.
L'iscrizione al concorso è gratuita, ma riservata ai soli soci Nero Cafè.
Per associarsi, è possibile sottoscrivere due tipi di quote:
- la tessera
White, che dà diritto a due numeri cartacei del magazine
Knife, accesso ai concorsi riservati ai soci e ai Servizi editoriali, sconto del 10% su tutte le iniziative dell'Associazione (corsi, workshop, seminari ecc.).
- La tessera
Black, che dà invece diritto a quattro numeri cartacei del magazine
Knife, accesso ai concorsi riservati ai Soci, sconto del 20% su tutte le iniziative dell'Associazione (corsi, workshop, seminari ecc.) e sui Servizi Editoriali. Per ottenere maggiori informazioni e/o versare le quote, accedere direttamente al sito:
http://nerocafe.net.
Gli elaborati dovranno essere inviati entro e non oltre il
31 maggio 2012.
Il romanzo vincitore - decretato a giudizio insindacabile della giuria (formata da elementi della Redazione di Nero Cafè) - verrà pubblicato da Nero Press, il marchio editoriale di Nero Cafè, tramite regolare contratto di edizione.

Che camminano lo sappiamo, ce l’ha detto Darabont nella sua fortunata serie
The Walking Dead (della quale abbiamo ampiamente parlato in questo
articolo), ma trovarsi circondati da non morti che in massa attraversano le strade della nostra città potrebbe essere un’esperienza davvero singolare.
Eppure non è impossibile.
Le zombie walk, passeggiate zombie, sono ormai una realtà in tutti gli angoli del globo. Manifestazioni a metà strada tra la parata di carnevale e il corteo di protesta, nella quali tutti i presenti, o almeno quelli più di spirito, se ne vanno in giro conciati come i non-morti. Dagli abiti al trucco, chiunque può trasformarsi nel suo alter ego zombie.
Ma come è cominciato tutto questo e perché? E come è cambiato il fenomeno negli anni?
La prima zombie walk è stata fatta a Toronto nel 2003. Sei partecipanti, vestiti come i loro personaggi zombie preferiti, vagavano per le strade senza alcun intento particolare, solo per il divertimento proprio e di chi stava a guardarli. Senza fare una rassegna puntuale dell’evoluzione del fenomeno basta sapere che all’ultima zombie walk di Toronto, i partecipanti erano ben settemila.
In verità, già nel 2001 era stata organizzata una marcia zombie a Sacramento ma in quel caso l’idea non era nata dalla libera associazione delle persone, bensì per intenti pubblicitari: la zombie walk serviva a promuovere il festival annuale The Trash Film Orgy.
Perché allora si considera come primo esempio di Zombie walk quella di Toronto?
La risposta è semplice. Sono la libera partecipazione e la condivisione di un ideale a rappresentare il fulcro di queste manifestazioni che diventano espressione del “potere della massa”.
Diciamocelo chiaramente, uno zombie da solo non fa paura a nessuno, un fiume di non-morti invece sì.
Basta guardare al cinema per capire. Nessuno zombie assassino o serial killer ma sempre gruppi di mostri riuniti in orde fameliche. Insomma, la figura dello zombie rappresenta alla perfezione l’idea della fratellanza, dell’unione, della condivisione di obiettivi e ideali. In negativo, ovviamente, con connotati che affogano nel sangue e nel disfacimento, ma pur sempre pieni di significato.
È per questo motivo che le zombie walk, nel tempo, si sono evolute sempre più in tal senso, diventando un modo per protestare contro i mali sociali in una maniera un po’ originale, mostrando alla collettività la capacità della massa di darsi un ordine e un’identità.
Questo senso di aggregazione è dato anche dalle modalità organizzative comuni a molte delle manifestazioni senza distinzione di tempo, spazio e luogo.
Le “zombie call”, le chiamate, si diffondono attraverso internet, i blog, i social network, Sono rari i casi in cui l’organizzazione sia esplicita e presente con nomi e persone, il più delle volte anche i “leader” preferiscono rimanere anonimi proprio per sottolineare il grado di appartenenza a un’“orda indifferenziata”. In questo senso esiste un certo grado di affinità con i flash mob. Si fissano luogo, giorno e ora, solo che, invece di essere nudi o intentare una spietata lotta coi cuscini, qui ci si presenta zombificati.
Il fenomeno è talmente diffuso oltreoceano che gli italiani, da sempre grandi importatori di mode made in USA, non hanno tardato ad appropriarsene. E così, dopo Halloween e il trick or threat
ecco fiorire anche da noi l’usanza delle zombie walk.
Il primo esperimento in tal senso è stato fatto a Roma nel 2007, una partenza in sordina così come in sordina è stato il bis di Torino l’anno dopo. Bisogna aspettare un paio d’anni perchè le zombie walk italiane acquistino un loro peso. In questo, l’utilizzo dei mezzi di diffusione online ha giocato un ruolo importantissimo. È tramite facebook e i blog che il fenomeno si diffonde. Anche nel nostro Paese, infatti, il metodo delle “chiamate” sembra funzionare alla grande e dal 2010 in poi sono sempre di più le città che accolgono gruppi deambulanti di zombie a vagare per le loro strade.

La particolarità delle
zombie walk italiane, da quelle più improvvisate a quelle che ormai hanno una struttura organizzata alle spalle e sono diventate un appuntamento annuale molto atteso, è la protesta aperta ed esplicita verso la condizione dei giovani. Quasi sempre il
leit motiv della parata si basa su idee del genere “questa città è un mortorio”, pensiero che viene esplicitato nei materiali informativi e che ha avuto il suo culmine nella
zombie walk di Reggio Emilia con il suo grosso richiamo di pubblico e l’elevata risonanza sui mezzi di comunicazione. Uno sguardo al sito
www.reggiozombies.com, basta per rendersi conto di quello che sto dicendo. Già la testata mostra una bella lapide con su scritto "Città mortorio" e ovunque spicca l’accusa a una città che non fa nulla per i giovani.
Ci pensano allora i giovani stessi a fare qualcosa: protestano il loro disagio in maniera innovativa, prendendosi sul serio ma nemmeno troppo.
Non resta che tenere gli occhi aperti e le orecchie all’erta… la chiamata prima o poi arriva!
(Laura Platamone)


Romanzo finalista al
Bram Stoker Award e vincitore di altri prestigiosi premi come il
Dead Letter Award, il
Cybilis Award e il
Melinda Award, più che un libro sugli zombie,
Rot & Ruin può essere considerato un vero e proprio spaccato sociale, che strizza l’occhio a quel mondo post-apocalittico tipico di film come
Mad Max e
Resident Evil.
Ma le differenze, a livello di soggetto, sono notevoli.
Tanto per cominciare, nella storia di Maberry non ci sono eroi votati all’azione o al “coattismo” spudorato. C’è un ragazzino, Benny Imura, che all’inizio è quanto di più fastidioso ci si possa ritrovare davanti, un piccolo arrogante capace solo di giudicare gli altri, ma incapace di farlo con obiettività. Tom, fratello di Benny e rinomato Cacciatore di zombie, ai suoi occhi non è altro che un vigliacco, che ha lasciato morire la madre senza muovere un dito per salvarla.
I miti di Benny sono altri, quel Charlie occhio-di-vetro ad esempio, o il suo socio Motor city Hammer, così spavaldi e divertenti, le loro gesta sono raccontate perfino sulle Zombie Card. Peccato che, Benny lo scoprirà a sue spese, si tratti di persone poco raccomandabili.
L’avventura di questo ragazzino è una sorta di viaggio iniziatico che segna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Questo tratto del romanzo ricorda molto opere statuarie come
It di Stephen King, anche se le “dimensioni” qui sono molto più ridotte.
Da sempre chiusa nella piccola cittadina di Mountainside, la gente non è più abituata a pensare con la propria testa. Nel loro piccolo, i cittadini si sentono sicuri. Non sanno quale orrore si nasconde là fuori, nel territorio di Rot & Ruin. E non si tratta solo dei morti che vagano senza sosta, affamati. Si tratta del rispetto per la vita, della dignità umana, della compassione. Valori che tutti sembrano aver dimenticato, a eccezione di Tom Imura. È così che Benny inizia a comprendere perché suo fratello sia tenuto in così alta considerazione da tutti, a Mountanside, perfino dal sindaco.
Le Zombie Card, l’allegra spensieratezza dei suoi amici Lou Chong e Morgie, la bellezza diafana di Nix, che ha un debole per lui da sempre, tutto sfuma e perde consistenza mentre si rende conto del significato delle cose, che prendono improvvisamente forme nuove.
Così Benny viene a conoscenza, grazie a Rob Sacchetto, artista dell’erosione, di ciò ch

e successe veramente la Prima Notte, quando i morti cominciarono a “tornare”. Da suo fratello inizia ad apprendere i segreti della “chiusura”, come Tom ama chiamare le uccisioni di zombie su commissione, cominciando a riflettere sul loro vero significato.
Benny si trova a dover toccare con mano le attività illegali e amorali di Charlie occhio-di-vetro e della sua banda di cacciatori fuori di testa, tutto questo mentre si scatena la ricerca alla Lost Girl, la ragazza leggendaria che da sempre tutti cercano senza riuscire a trovare.
Per Benny, dopo tante domande, cominciano a fioccare le risposte, anche quando non vorrebbe averne. Ma, si sa, con la crescita e l’apprendimento, una vita può cambiare per sempre.
Con questo libro Maberry riesce a divertire, commuovere, appassionare il lettore. E lo invita a pensare. Lo costringe, quasi. A quali siano i veri mali della società, che non è necessariamente quella di Mountainside, ma la nostra, perché Rot & Ruin non è che un miraggio, una possibilità di un futuro verso cui dirigerci, fin da adesso, mentre leggete le righe che sto scrivendo.
Nel complesso si tratta di un bel romanzo, fresco, godibile, che trascina nella lettura senza quasi mai annoiare. Il Terzo Occhio socchiude la sua palpebra, soddisfatto.
(Daniele Picciuti)

Si tratta di uno scherzo, una “sciarada”, ma davvero perfettamente orchestrata.
Navigando sul sito ufficiale
www.zombiescience.co.uk si nota infatti come lo “Zombie Institute for Theoretical Studies”, ente ovviamente fittizio, abbia partner, patrocini e supporter di una certa autorevolezza, primi fra tutti l'Università di Glasgow e il Festival scientifico della stessa città scozzese.
Cosa è quindi lo “Zombie Institute”?
Come dice il nome stesso, si tratta di un ente di “ricerca” e divulgativo che studia la scienza “vera” che si cela dietro i non-morti.
Capo dell'istituto è il Dottor Austin che, come si legge nella sua nota biografica, è un noto “zombologo” (o “zombista”?) nato a Aberdeen e che subito è entrato nel mondo dei non-morti, studiandoli in giro per il mondo e in particolare in Papua Nuova Guinea.
Il Dottor Austin, come ogni accademico che si rispetti, organizza corsi sull'argomento, lezioni in giro per la Gran Bretagna, prepara materiale didattico e libri di testo, fa parte di commissioni d'esame e di laurea in “Zombologia”.
Tutto questo e quant'altro è possibile leggere e scaricare dal sito ufficiale, così come conoscere le date delle lezioni aperte al pubblico. Una speciale sezione permette anche di accedere agli esami on-line, divisi in due livelli, che consentono di ricevere il diploma, certificato, di esperto in studi sugli zombie.
Chi scrive ha avuto occasione di assistere a una lezione del Dr. Austin in occasione del Science Festival di Glasgow nel giugno 2011. La lezione si sviluppa come un mix di serietà e divertimento, di ilarità e di elementi propri degli appassionati di horror con altri che appartengono effettivamente alla comunità scientifica. Slides e power point si alternano con battute e citazioni, rendendo il tutto un gustosissmo spettacolo di 45 minuti, con vere e proprie performance teatrali interattive, capaci di intrattenere, ma anche di parlare realmente di scienza nelle sue varie sfaccettature, dalla fisica alla biologia, per finire con la medicina e la genetica.
(Armando Rotondi)

Aprile 2011.
In libreria è presente un nuovo volume, tre saggi, tre autori eccezionali: Danilo Arona, Selene Pascarella e Giuliano Santoro. Non solo. Il libro è impreziosito da una gustosa intervista a George Romero dello studioso Paolo Zelati.
Insomma, finalmente un saggio straordinario, ricco di sorprese e di regali, cultura a 360°, per noi voraci fruitori, zombie musi-cine-letterari, affamati di vera cultura.
Il titolo è L’alba degli zombie, voci dell'Apocalisse: il cinema di George Romero.
L’opera, oltre a essere una vera miniera d’informazioni sul cinema di Romero e non solo (il sottoscritto ringrazia calorosamente), è veramente illuminante nel delineare e sviscerare la figura dello zombie, la sua iconografia, le ragioni culturali, economiche e sociali che hanno portato questo mostro, questo amabile buontempone, a popolare le nostre metropoli.
Ma cosa si può trovare in questo fantastico saggio?
Innanzitutto il libro descrive, attraverso alcune milestone, la storia di questi simpatici non-morti attraverso il cinema, la letteratura, la filosofia, le scienze sociali, la cultura popolare. Il volume individua una data cardine, il 1968, con il capolavoro The night of the living dead.
Ci si trova subito di fronte a una seria analisi molto approfondita da cui si originano diverse direttrici che vengono successivamente ampliate nelle pagine che seguono. Infatti i film "of the living dead" vengono sapientemente analizzati in tutte le loro componenti, dalla trama, alle scelte estetiche dei registi, alle implicazioni politico-religiose e morali, al sistema economico, al problema etico, tutto quanto ha determinato la nascita, ovvero l’alba dell’icona-zombie.

Ho trovato veramente illuminante l’analisi socio-antropologica di questa icona, ravvisando dei collegamenti con il lavoro dell’antropologo Michael T. Taussig, professore alla Columbia University e autore del testo The Devil and Commodity Feticism in South America. Questo testo parla del movimento sindacale dei contadini nella valle di Cauca dove è stata introdotta forzatamente la monocultura della canna da zucchero già dall’epoca colonialista spagnola e mostra come da questa frizione sociale, dall’epoca del colonialismo a oggi, scaturisca la figura del Demonio, El Tio, come viene affettuosamente chiamato dagli autoctoni. L’alba degli Zombie cita espressamente proprio l’esempio delle popolazioni coinvolte nella monocultura della canna da zucchero accomunandole a quelle presenti ad Haiti, delineando una particolare e illuminante analisi di antropologia comparata relativa al ruolo dell’icona-zombie all’interno delle società.
Provo ad approfondire quest’aspetto perché che mi è molto caro. Per prima cosa, non ci vuole molto per capire che siamo nell’ambito dei rapporti sociali legati ai sistemi economico-religiosi. In particolare, emergono in maniera molto chiara il disagio e la frizione, in termini sociali, che rappresenta l'imposizione del proprio sistema religioso e, di seguito, del proprio sistema economico (basato sulla schiavitù in epoca coloniale e sul salario in epoca più recente) a popolazioni che hanno già i propri.

Per le popolazioni indigene si è trattato di un completo ribaltamento culturale.
Senza entrare nel dettaglio delle pratiche magiche o delle credenze come effetti che ha prodotto l’imposizione del sistema religioso ed economico europeo sulla popolazione indigena, vorrei menzionare un divertente aneddoto, definito barocco dal suo autore Lévi-Strauss, che dovrebbe chiarire il ribaltamento della prospettiva di queste popolazioni al momento dello sbarco dei colonizzatori nel nuovo mondo:
«Nelle Grandi Antille, pochi anni dopo la scoperta dell'America, mentre gli Spagnoli spedivano
commissioni d’inchiesta per stabilire se gli indigeni fossero o no dotati di un'anima, questi ultimi si
occupavano di immergere i prigionieri bianchi sott'acqua per verificare, con una sorveglianza
prolungata, se il loro cadavere fosse o meno soggetto a decomposizione».
Al di là del pregiudizio etnocentrico di entrambe le società, c’è da chiedersi principalmente come abbia impattato l’introduzione forzata della monocultura in un sistema economico basato sullo scambio e sui rapporti sociali. Quali effetti ha portato la trasformazione del contadino precoloniale e preliberista in schiavo prima e salariato poi? Gli elementi che segnano il mutamento di prospettiva e determinano il meccanismo di sostituzione sono sostanzialmente due, frizione sociale e sincretismo religioso.
Ma cosa c’entrano con gli zombie?
Il decostruzionismo dialettico ha prima individuato e poi messo in evidenza come la rimozione dei rapporti sociali dai sistemi economici abbia sviluppato nell’immaginario collettivo una sorta di magia delle merci e degli oggetti.
Poi c’è un elemento più generale rappresentato da un cambio di prospettiva culturale agli inizi del ‘900 che interessa tutte le culture, soprattutto la nostra.
Si fa riferimento alla nascita dell’economia come scienza avulsa dal contesto sociale. Insomma, agli inizi del ‘900, l’economia inizia a perdere il valore di economia politica in senso aristotelico, laddove l’economia era considerata economia di persone e rapporti sociali e non economia intesa solo come scienza di indici e di grafici dotati di linea di tendenza.
Faccio un esempio concreto: se ho del denaro e voglio investirlo o acquistare delle azioni posso portarlo in banca e attendere che questo s’incrementi. Nel fare questo, generalmente non considero più che dietro il mio interesse c’è un fitto scambio di rapporti sociali ma osservo, come per magia, la mia percentuale e il denaro che si incrementa.
Il problema nel mio caso non si pone, dal momento che di denaro non ne ho. Ma, a parte facili battute, quello che voglio chiarire è che la percezione che il denaro, alla fine, sia un oggetto inanimato e la consapevolezza che sono i rapporti sociali tra le persone che lo incrementano, diviene ogni giorno più labile. La verità è che questo concetto, nella società attuale, passa in secondo piano in favore della magia di una fruttificazione del denaro.

Il simbolismo latente all’interno della nostra società mostra anche nella scelta dei termini l’animismo legato a questi aspetti.
Parliamo di bull market o di bear market per mercati in rialzo o in ribasso quasi a rappresentare il denaro come un essere animato che possa incrementare da sé la propria prole. Ci sono esempi diffusi che mostrano come un sistema ideologico, basato su questo grosso equivoco, mistifichi e feticizzi continuamente, attraverso varie simbologie, qualsiasi aspetto del nostro vivere quotidiano.
E i rapporti sociali, il lavoro, le persone?
Sì, perché sono sempre le persone il vero valore dei nostri sistemi.
Oggi, il mandato è chiaro, dalle persone dobbiamo difenderci. Ebbene la magia, il misticismo che scaturisce dalle merci unitamente alla cancellazione dei rapporti sociali e del concetto di alterità, e il sincretismo religioso arrivano a determinare quella frizione sociale particolare che determina l’ansia del diverso e la nascita di quello che, con una geniale intuizione, il libro L’alba degli zombie identifica e poi definisce chiaramente come il Monstrum post coloniale.
Sono rimasto impressionato da questa definizione che, con tre parole, sintetizza tutta una serie di relazioni storiche, antropologiche e sociologiche che culminano nel nostro vivere quotidiano.
Non mi dilungo su ciò che lo scontro di sistemi economici e sociali ha portato all’interno di queste culture, rituali, feticci, demoni, zombie, pratiche magiche varie. Una cosa è certa.
Il sistema preliberista delle popolazioni della filiera della canna da zucchero in Sud America e ad Haiti si basava sulle relazioni sociali, il sistema liberista (che i rapporti sociali li ha progressivamente rimossi tutti, in virtù della magia delle merci), ha imposto il proprio sistema religioso creando un Monstrum che per Haiti è diventato lo zombie.
Ma Romero si spinge più avanti. Questo processo simbolico di rimozione dell’alterità e di creazione della magia e successivamente del mostro, come illustra chiaramente il saggio con delle intuizioni geniali, si sposta progressivamente anche presso la nostra società.
I motivi? Esattamente quelli sopra descritti.
Arona riporta, a un certo punto del saggio, un passo di Paolo Zelati:
«La notte dei morti viventi
ha anche il merito di sottrarre il cinema horror per usare le parole di Carpenter “all’abbraccio mortale del gotico e di trasportare l’orrore che, sino ad allora, era quasi sempre stato ritratto e identificato in un luogo “altro”, direttamente negli Stati Uniti d’America».
Arona, Zelati e Carpenter si riferiscono all’estetica filmica e alle scelte artistiche ma questo periodo mi fa pensare all’operazione culturale, in senso sociale e politico, che esegue Romero nel far nascere gli zombie nella nostra rassicurante società dei consumi, mostrando come essa non sia immune al contagio culturale ma sia impregnata fino alle fondamenta da questo germe magico-economico.
Per Romero, diversamente da altri registi che hanno voluto raccontare lo zombie, non c’è un posto circoscritto in cui far nascere il mostro dell’alterità.
Anche la nostra società, è luogo «altro». La nostra società si prepara all’apocalisse psichica. La nostra cultura vede l’alba degli zombie e l’inanimato, ciò che è morto, come per magia inizia a muoversi e il male, lungi dall’essere l’ennesimo rapporto sociale (ovvero ciò che l’uomo può commettere nei confronti di un proprio simile), assume magicamente un valore ontologico.
Non solo. Lo zombie per alimentarsi ha bisogno di distruggere l’altro, di mangiarlo, di consumare. È animato da una fame inesauribile.
A pagina 77 del libro, ne L’alba degli zombie si legge: “Si sottolinea come terreno da conquistare, in una situazione di super-emergenza, sia ancora di natura squisitamente economica” parlando di un centro commerciale. Il diavolo, El Tio, presso le popolazioni in Sud America, lo zombie, presso le popolazioni di Haiti, il morto vivente nella nostra società, tutti diventano il simulacro dell’alterità negata e sublimata nella magia delle merci.
La paura dell’alterità diventa fobia del contagio.
È evidente, nel saggio, come la zombificazione dei rapporti sociali sia una malattia culturale, la trasformazione di una classe sociale che sopravvive alla propria morte (senza rapporti sociali la società muore), la perpetuazione di un sistema basato sui consumi che impara a mangiare l’altro per sopravvivere. Ne consegue, come illustra Arona riprendendo il tema della teofagia, come il discorso verta sempre su questioni che sublimano l’aspetto religioso e pulsionale, a cui aggiungerei, se mi è consentito, partendo da questa sua calzante intuizione, quello economico.
In questo contesto, il contagio è la trasmissione di un morbo concettuale che viene «inoculato» nelle coscienze dalla mistificazione culturale che opera nella nostra società.
Concludo sperando di non aver annoiato e invitando chiunque legga queste mie laboriose righe a leggere questo saggio meraviglioso che, spiegando gli zombie, parla di noi.
(Luigi Bonaro)

Da quando il cinguettare dei passeri ha sostituito il rombo dei
motori, la natura ha cominciato a invadere le città. Piante rampicanti già arrivano
al primo piano degli edifici e ricoprono automobili ferme da tempo. È da poco
passata l’alba quando il fiore apre al sole i candidi petali, mostrando
trionfante il suo cuore dorato. È una comune margherita che si è fatta strada tra
le crepe dell’asfalto. A causarne la morte non sarà la mano di un bambino che vuole
offrirla alla madre, ma il calpestio prodotto da una massa in eterno movimento.
Si sposta lentamente, come lenta è stata la fine del mondo.
La dottoressa Irina Sastri salì in
ascensore con i colleghi senza guardarsi allo specchio. Non lo faceva più da quando
un ragazzino, l’unico rimasto ancora ben educato, le aveva lasciato il posto
sull’autobus. Creme costose, palestra e interventi estetici avevano a lungo
nascosto l’evidenza, ma ormai doveva arrendersi: stava invecchiando. Glielo
ricordavano i giovani amanti di cui si circondava, che ormai solo a pagamento
le dicevano che era bella e desiderabile. Era un processo davvero
irreversibile? No, come sperava di dimostrare insieme alla sua equipe. Sulle
cavie aveva raggiunto già un buon risultato con la rigenerazione cellulare,
perciò si poteva passare a un organismo intero. Sicuramente quello di un
maiale: per molto tempo infatti non le avrebbero concesso di sperimentare il
composto su un essere umano. Irina però non poteva più permettersi di
aspettare, voleva liberarsi dalla pesantezza degli anni. Desiderava subito
l’occasione di rifarsi una vita, una in cui non avrebbe sacrificato il
matrimonio e la possibilità di essere madre in nome della scienza e della
speranza di un nobel. Era nauseata dall’elegante attico vista Colosseo,
ristrutturato e arredato da un famoso architetto, che ogni sera l’accoglieva
freddo e vuoto come un’ospite invadente e indesiderata. Irina non scese a mensa
con i suoi collaboratori, così poté iniettarsi il β3T senza che nessuno la
vedesse, poi disse che si sentiva male e tornò a casa. Sparsi sul pavimento
dell’ingresso c’erano ancora i pezzi dello specchio che aveva distrutto perché
le aveva restituito l’immagine di una donna anziana. Il giorno dopo avrebbe scoperto
se valeva la pena comprarne un altro.
Il mese seguente il β3T aveva
cambiato nome in Rigenera ed era
pronto con cinque anni di anticipo a essere lanciato sul mercato esclusivo dei
ricchi e potenti della terra. La dottoressa Irina Sastri era stata nell’ordine:
licenziata, radiata dall’ordine dei medici, accusata di furto, additata come
mostro e allo stesso tempo adorata come una dea, infine riassunta come
testimonial dalla stessa società che l’aveva cacciata come ricercatrice. La sua
ritrovata giovinezza spiegava infatti più di mille parole gli effetti del nuovo
farmaco. Quando era costretta a parlare dei processi metabolici che attivava il
Rigenera, Irina abbandonava il
linguaggio scientifico che l’aveva accompagnata fin dall’università e spiegava
che le cellule giovani si nutrivano di quelle vecchie, eliminandole. Era ospite
fissa in molti talkshow dove inevitabilmente qualche suo ex collega le chiedeva
se aveva pensato agli effetti collaterali del Rigenera. «Dopo averlo assunto», rispondeva, «si prova un grande
appetito e si soffre di una lieve carenza di ferro. Consiglio a chi lo prova di
mangiare subito dopo una bella bistecca al sangue e un po’ di verdura fresca».
Preferiva nascondere il fatto che da trenta giorni mangiava solo carne cruda e
non toccava una foglia di insalata. Non confessò nemmeno che a letto i suoi
amanti cominciavano a lamentarsi dell’ardore che dimostrava quando li mordeva a
sangue, scambiando per focosa passione ciò che era sempre più simile alla
bramosia di carne umana.
Quella sera Irina stava tornando a
casa, cercando di schivare i giornalisti che le chiedevano se sperava di essere
nella rosa dei candidati al nobel per la medicina. Un tempo le sarebbe
importato, ora non più: in cima ai suoi pensieri c’era qualcosa di inconfessabile,
qualcosa che, dopo che con un morso aveva quasi staccato il capezzolo sinistro all’ultimo
amante, le era costata già una denuncia. Appena uscì dalla macchina tre spari
la colpirono alla schiena. «È la fine che meritano i traditori dell’umanità», avrebbero
rivendicato sulla loro pagina facebook gli evoluzionisti, dimostrando che la
lotta contro il Rigenera che
portavano avanti da mesi aveva abbandonato la via pacifica. Nello stesso
momento in tutto il mondo altri terroristi cercavano di uccidere i ricchi e i potenti
che si erano potuti permettere il
Rigenera. Irina sentì il sangue che le bagnava il vestito da sera e capì
che sarebbe morta, nonostante l’arrivo quasi immediato dei soccorsi che le
tamponarono le ferite e le misero la maschera d'ossigeno. In ambulanza, prima
di perdere conoscenza, cercò di gridare che tutte quelle cure non servivano a
nulla e che avrebbero fatto meglio a offrirle un po’ di carne cruda. Un'infermiera si accorse che cercava di dire qualcosa, così le tolse la maschera e
le si avvicinò per ascoltarla meglio. Ci rimediò un morso che le tranciò di
netto il lobo dell’orecchio destro, perciò non pianse quando l’ex dottoressa Irina
Sastri fu dichiarata clinicamente morta.
Gli evoluzionisti, programmati come un ordigno letale e perfetto, più o meno simultaneamente avevano colpito politici, tiranni, potenti industriali, magnati
del petrolio, maghi della finanza, star del cinema e della canzone e i geni
delle nuove tecnologie, tutte persone che si cercò di salvare a ogni costo. Si
ricorse anche a metodi non convenzionali quali l’utilizzo del β3Z, una versione
potenziata del Rigenera, il cui
studio si trovava ancora alle prime fasi sperimentali. Ai media non fu detto
che i ricchi pazienti, nonostante si trovassero in uno stato di coma indotto,
erano stati legati al letto e forniti di una sorta di museruola perché a volte
si risvegliavano e aggredivano medici e infermieri. Intanto sui siti internet
che di solito parlavano di cerchi sul grano, Yeti e Atlantide apparve la
notizia che, intorno a costose cliniche, erano stati avvistati uomini e donne
vestiti con un camice ospedaliero che si muovevano lentamente e azzannavano i
passanti. Qualcuno in un blog scrisse che un amico gli aveva raccontato che la
fidanzata di un suo cugino aveva visto la dottoressa Sastri aggredire un ragazzo,
ma questo era impossibile: la prima donna ad aver provato il Rigenera era infatti morta qualche
settimana prima in un attentato, lo sapevano tutti. Nessuno poteva immaginare
che il funerale di Irina si era svolto intorno a una bara vuota perché la clinica
privata in cui era arrivata l’ambulanza che la trasportava non aveva voluto
ammettere di essersi persa un cadavere.
All’inizio le polizie di tutto il
mondo decisero di negare gli episodi di aggressione, perciò si pensò che si
stesse diffondendo una nuova leggenda metropolitana, quella del Paziente
Morsicatore. Insomma, una cosa su cui riderci sopra, almeno finché le persone
aggredite cominciarono a essere troppe per poter credere che si fossero
inventate tutto. Si sparse poi la voce che, quelle di loro che erano state
azzannate alla gola, erano morte o si erano messe a loro volta ad aggredire i
familiari. «O entrambe le cose, come mi appresto ad appurare», tentò di
scherzarci su Alberto Manni, scettico giornalista che si offrì di cercare
qualche vittima di un Paziente Morsicatore e intervistarlo. Anzi, visto che
abitava a Roma, avrebbe parlato proprio con Irina Sastri, affamata dottoressa
che in molti su internet sostenevano di vedere mentre aggrediva qualche amico o
un parente, nonostante il suo corpo fosse stato cremato insieme alla bara dopo
lo sfarzoso funerale. La scomparsa di Manni fu considerata una trovata
pubblicitaria; quelle dei suoi colleghi, che anche in altre città provarono a
emularlo, fu invece attribuita a un primo originale serial killer
e ai suoi
imitatori. Furono gli evoluzionisti, nelle pagine che ciclicamente riaprivano su
facebook, a sostenere che i primi Pazienti Morsicatori erano proprio le vittime dei loro attentati, ovvero coloro che avevano usato il Rigenera
perché non volevano invecchiare e nemmeno morire. Il primo loro desiderio era
stato esaudito, mentre per il secondo neanche i terroristi ebbero il coraggio
di parlare di Zombie. Ben presto non ci fu più tempo per parlarne: bisognava solo
correre e combattere. Infine il nulla, solo margherite schiacciate da una massa
affamata in eterno movimento.

“BE THANKFUL FOR
EVERYTHING FOR SOON THERE WILL BE NOTHING”
Si sa che di fronte a prodotti editoriali che seguono la scia di franchise
di successo, il rischio è sempre che, al di fuori del nome, esista poco della qualità
del prodotto originale cui quel successo è dovuto.
Il franchise in questione è 28 Giorni Dopo, nato dallo splendido
film diretto dal regista Danny Boyle (Trainspotting,
Sunshine, Slumdog Millionaire; non vorrei ma devo menzionare anche The Beach) e scritto da Alex Garland, a
cui è seguito il non troppo esaltante 28
Settimane Dopo, girato da Juan Carlos Fresnadillo.
Sgombro subito
il campo da qualsiasi dubbio: non siamo davanti ad alcun atto di “lesa maestà”
nei confronti dell’opera di Boyle. La qualità c’è.
Scritta da
Nelson, disegnata da Shalvey e colorata da Filardi, la storia del fumetto si
colloca nello spazio temporale tra i due film. Selena, una dei tre
sopravvissuti di “Casa Worsley”, viene assoldata come guida dal giornalista
americano Clint Harris. Destinazione: Londra, oltre i limiti della quarantena
verso il cuore dell’infezione, per scoprire la causa del contagio. Comincia
così un viaggio dove il pericolo non sarà rappresentato soltanto dagli infetti
d’Inghilterra, velocisti e affamati come chi ha visto i film ben sa.
In conformità
alla pubblicazione americana, London Calling
dovrebbe essere il primo dei sei volumi che compongono le vicende di Selena.
Le premesse, per
chi non fosse fan dei film, non appaiono come le più originali: una donna con
un passato tragico e il senso di colpa della sopravvissuta guida un gruppo di
ingenui nell’ultimo posto sulla Terra in cui bisognerebbe andare, con un conseguente gioco al massacro. Ma la verità è che, proprio quando ci si aspetta
che la storia abbia preso dei binari arcinoti, Nelson sa piazzare dei colpi di
scena in grado di ribaltare la situazione, e il bisogno di sapere come i
protagonisti usciranno da un guaio peggiore dell’altro fa crescere l’attesa nei
confronti del volume successivo.
Non ci troviamo
di fronte a particolari stravolgimenti dei canoni del genere, ma l’autore
dimostra di saper dare alla narrazione il giusto ritmo, senza alcun calo di
tensione. Forse, una pecca che i fan del primo film potrebbero trovare sta
nella scelta, almeno in questo primo volume, di privilegiare l’azione
rinunciando alla contemplazione di quei grandi scenari abbandonati e silenziosi
che erano la cifra stilistica dell’opera di Boyle (o almeno della prima metà).
Se i disegni di
Shalvey fanno il loro ottimo lavoro, sono i colori freddi della tavolozza di
Filardi, accesi solo dagli occhi iniettati di sangue degli infetti, a dominare
le tavole. La luce livida e le tonalità spente ci ricordano a ogni passo (o
vignetta) che l’Apocalisse è già avvenuta.
Una menzione
speciale per la qualità va alle stupende copertine di Tim Bradstreet, in grado
di rappresentare iconograficamente una perfetta Apocalisse in salsa punk anni
’70, ottimo richiamo al London Calling
del titolo.
28 Giorni Dopo: London Calling non sconvolgerà
il vostro universo, ma vi darà il grande piacere, con stile e giusta dose di
tensione, di tornare nel Regno Unito, in mezzo agli infetti creati da Danny
Boyle e Alex Garland.
(Marco Battaglia)