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Il magazzino delle mie visioni
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A sweet farewell! 14 May 2012 7:18 AM (12 years ago)

Ebbene sì.
Dentro di me ho sempre saputo che questo giorno sarebbe venuto, prima o poi.
Perché lo faccio? Potrei dire che nella mia vita non c’è abbastanza tempo per tenere decorosamente questo blog, e in questo c’è una parte di verità, senza dubbio. Ma la componente principale credo sia che questo  progetto ha esaurito il suo ciclo. E’ durato tre anni, per cui non è stato nemmeno brevissimo, la maggior parte dei blogger dura molto meno di così!
Che dire… è stata una bella esperienza, mi ha insegnato delle cose e costretto a impararne altre. Mi ha insegnato plasticamente anche qualcosa su me stesso e sulla vita, ossia che per ottenere buoni risultati, c’è bisogno di un obiettivo chiaro, e questo a Melted Dog è sempre mancato. Ora, mica che questo blog nascesse con l’intenzione di avere successo, ma la sua mancanza di identità ha rappresentato un limite, senza dubbio. Il perché dopotutto è abbastanza ovvio: a chi potrebbero interessare le mie opinioni sulla “Vita, l’universo e tutto quanto”? Avessi, che so, parlato solo di cinema avrei potuto attirare un pubblico di cinefili. Avessi parlato solo di viaggi, di viaggiofili. Avessi parlato solo delle mie opere non sarebbe probabilmente interessato a nessuno, ma almeno mi sarei fatto pubblicità. Invece sono rimasto lì a metà strada, indeciso. Tra le altre cose ho riflettuto parecchio anche su questo: per tenere questo blog ho finito per ritagliare minuti al tempo già risicato che dedicavo alla narrativa. Cosa che, tutto sommato, va contro i miei obiettivi "di fondo".
Quindi, è definitivo questo addio? Sì, per quanto riguarda Melted Dog.
Qualcosa forse rinascerà più avanti, ma sarà in un luogo diverso.
E’ ora che il bruco si faccia crisalide, dirà il tempo se diventerà farfalla in un altro progetto o, come ogni tanto accade, non si risveglierà più.
Fino ad allora, un saluto a tutti!



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Cristiano Filippini - Flames of passion 17 Apr 2012 12:23 AM (12 years ago)

Ho conosciuto la musica di Cristiano Filippini leggendo una sua intervista sul portale Truefantasy.
In quei giorni navigavo intensamente siti del genere, alla ricerca di possibili vetrine per “Le sorgenti del Dumrak” il primo libro di Finisterra, quando mi sono imbattuto nell’articolo che parlava della musica di Cristiano. Incuriosito sono andato sul suo sito (www.cristianofilippini.com) e ho ascoltato i primi minuti di alcuni suoi pezzi e quelli interi che erano proposti sul suo canale youtube ed è stato sostanzialmente amore al primo ascolto, tanto che a breve giro di posta mi sono procurato il suo cd e l’ho contattato per chiedergli se aveva voglia di prestarci qualche minuto della sua musica per il booktrailer di Finisterra.

Date queste premesse, è addirittura ovvio quel che sto per dirvi in questa recensione: ossia che l’opera in questione mi è piaciuta moltissimo. Innanzitutto chiariamo le coordinate generali, Cristiano Filippini fa parte di una genia di musicisti non comune, specialmente ai nostri tempi e alle nostre latitudini: è un compositore di musica sinfonica. Parliamo quindi di pezzi strumentali (niente voce) pervasi di veri e propri pieni orchestrali. Inoltre l’attitudine metallica, dichiarata anche nella bio, è piuttosto spiccata e infatti ho letto in giro che varie riviste di metal hanno avuto occasione di ascoltare ed apprezzare l’opera del Filippini.

Ma veniamo all’opera in sé: Flames of Passion è un concept di dodici pezzi di grande impatto emotivo, dove momenti intensamente drammatici si alternano ad altri di straordinaria epicità e qua e là si aprono ad una vena romantica di gran classe.

Spiace davvero (e un po’ anche stupisce, tutto sommato) che il nostro non abbia trovato qualche casa discografica disposta a dargli tutto il supporto produttivo e di distribuzione che merita. Ma poi chissà, sono io che affermo che Cristiano “non ha trovato”, magari è stata una sua scelta. Comunque sia andata, come si apprende dal booklet il nostro ha fondato una casa di produzione tutta sua e il know-how evidentemente non gli manca perché il suono del cd è pressoché perfetto.

I pezzi notevoli sono numerosi, a partire dallo splendido tema dell’Overture (nonché title track) continuando con l’epica Hymn to freedom ripresa in organo nel Finale. Bellissimi i due Nocturne Romance, dove fanno capolino atmosfere più misurate e ed elegiache alla Cacciapaglia, stessa aria si respira pure nell’ottima Victim of love. E splendide pure sono l’arcana e folkeggiante Swordance e When dawn comes divisa in due tra sentimento e pieni orchestrali. Un gradino sotto nelle mie preferenze le drammatiche Malleus maleficarum e Rain of venegance e a seguire le rimanenti. Ma non escluderei affatto che la vostra opinione sia totalmente diversa dalla mia perché, e questo secondo me è il migliore dei complimenti che si può fare ad una produzione “indipendente” (ma in realtà a qualunque cd, in effetti…), la qualità è così uniformemente elevata e ogni pezzo così ben caratterizzato che scegliere il proprio brano preferito è davvero una questione di gusto personale.

Una raccomandazione d’obbligo, non mancate di leggere nel booklet (graficamente pure lui di ottima qualità, peraltro) La leggenda della Casata Heinz, che costituisce il filo conduttore di tutto il concept.

Voto 8.5


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Visioni di marzo 11 Apr 2012 12:39 AM (12 years ago)

Questo mese è tutto improntato al cinema fantastico.
Ci risentiamo a breve (si spera) anche con qualche argomento diverso dai film visti!
Si spera...

Pandorum

Due giorni fa, svuotavo il solaio di Simona insieme a suo fratello, quando questo mi ha detto che uno dei due blockbuster di Modena (la catena è fallita, o comunque sta liquidando tutto quel che possiede…) era ancora aperto e svendeva i suoi dvd al 75% di sconto. Il giorno dopo io mi sono fiondato là e con 18€ mi sono portato a casa 8 film. Visto che nella pratica costavano circa 2€ l’uno mi sono lasciato andare a varie voglie, in particolare mi sono puntato su una fascia di “b movie” (per semplificare) di genere fantastico che avevo annotato sugli annuari di film tv. Questa sera ci siamo sciroppati il primo film del lotto.
Siamo attorno all’anno 2150, la sovrappopolazione della terra ha raggiunto livelli insostenibili e siamo ormai alla “lotta per il cibo”. Una sonda spaziale ha raggiunto Tanis, un pianeta abitabile in un altro sistema solare, viene quindi spedita a colonizzarlo l’astronave Elysium. Sono appena partiti quando ricevono l’ultima comunicazione dalla terra, pochi istanti prima della sua esplosione. Un tempo imprecisato più tardi, il caporale Boyer si risveglia dal criosonno. Dovrebbe far parte della squadra numero cinque, che curerà l’astronave dall’ottavo al decimo anno di viaggio, poco dopo si sveglia anche il tenente Peyton ma comprendiamo subito che qualcosa è andato storto. Il reattore della nave è spento, l’energia ausiliaria si sta esaurendo ed è impossibile accedere alla sala di comando. Boyer, sotto la guida di Peyton si mette in viaggio attraverso i condotti dell’aria con l’idea di andare a riavviare manualmente il reattore fino a raggiungere un’altra parte della nave, solo per scoprire che essa è popolata da creature orribili.
Pandorum è un film di fantascienza di tutto rispetto. Non perfetto, ma robusto, avvincente, con molte idee, una bella ambientazione, il giusto equilibrio tra azione e approfondimento, un cast che nel complesso funziona. Una pellicola “di genere” nel senso nobile del termine, di quelle che quando dici a te stesso “ho proprio voglia di vedere un bel film di fantascienza”, ti lasciano a fine serata soddisfatto. Molto bella la scena in cui il risvegliato pazzoide spiega la storia di quel che è accaduto, scivolata nel mito, illustrandola su quelli che sembrano disegni rupestri. Se lo vedrete capirete di cosa parlo.

Voto: 7+


Solomon Kane

Uno dei film che ho acquistato dalla svendita totale di blockbuster.
Diciamo la verità, non è che mi aspettassi un film straordinario. Me lo immaginavo un po’ truzzo, però insomma: trasposizione di un fantasy classico, alto budget, produzione europea, protagonista che almeno non è “The Rock” o altra salama da sugo muscolo-marmorea. I presupposti per una scommessa da due euro c’erano. Scommessa ahimè perduta, perché questo film è proprio bruttino bruttino.
Dopo vari anni di razzie più o meno nel nome di Dio (o se non altro contro gli infedeli) l’anima di Solomon Kane è dannata. Riesce a sfuggire al mietitore che vuole portarlo all’inferno, ma per redimersi promette di intraprendere un cammino non violento. Si ritira in convento e dopo un po’ i frati lo accompagnano alla porta (non si capisce bene perché), lui incontra una comitiva di puritani che sta per salpare per l’America (siamo nel 1600), fa un pezzo di strada con loro finché non vengono attaccati da una banda di cattivoni che fanno capo a un tizio a volto coperto che sembra Letherface, che è solo il braccio secolare dello stregone Malachia. I cattivi rapiscono una ragazza e Solomon decide di permutare la sua redenzione non violenta con una redenzione nel salvataggio di questa ragazza. E dopo circa 40 minuti di film più o meno d’atmosfera (i migliori) cominciano le mazzate.
Nella restante ora di film in ordine sparso, Solomon viene crocefisso, dato in pasto a degli zombi da una specie di predicatore pazzo, gli improvvisano attorno un esercito, scopriamo gli altarini della sua famiglia (e relativi colpi di scena alla “No, Solomon, io non ho ucciso tuo padre. IO sono tuo padre!”), combatte contro un balrog eccetera, eccetera. Se almeno ci fosse dell’ironia già sarebbe tutta un’altra cosa, e invece no: questi fanno proprio sul serio… e la noia dilaga. Poteva essere un film alla “Conan il Barbaro”, e invece siamo più dalle parti di Beowulf (quello con Cristopher Lambert). Un po’ meglio, ma nemmeno tanto.

Voto: 4


The Hole

Accipicchia, erano proprio anni fitti che non si vedeva in giro un film di Joe Dante! Sono andato or ora vedere su imdb per vedere se ero io ad essermi perso qualche titolo o se semplicemente negli ultimi anni il buon Joe si era dedicato ad altro. E in effetti è così: dopo il 1990 soltanto tre titoli per il cinema, Matinee (1993), Small Soldiers (1998) e Looney Toons back in action (2003), di cui quest’ultimo peraltro nel mio immaginario è uno di quei progetti (tipo Space Jam) un po’ “figli di nessuno”. A parte questo molte regie per serie televisive. E sì che negli anni ’80 Joe Dante, collaterale a Steven Spilberg, aveva dato vita ad alcuni dei film più spassosi di tutto il decennio (soprattutto per il me bambino di quel tempo): i due Gremlins, Explorers, Salto nel Buio, uno dei segmenti del film “Ai confini della realtà”.
Ed ecco che dicendo questo abbiamo già detto un sacco di cose su The Hole: sembra un film uscito direttamente dagli anni ’80 a parte il fatto di essere stato girato per il 3D, cosa che in tv perde la sua efficacia eppure per molti dettagli si nota (è evidentissimo che un sacco di inquadrature sono pensate proprio per quello). Storia all’osso: nuova famiglia – madre e due figli – si trasferisce nel quartiere. Presto i due pargoli fanno una scoperta inquietante: nella cantina della loro casa c’è una botola chiusa con un sacco di lucchetti. Manco a dirlo la aprono. Manco a dirlo c’è un buco senza fondo, manco a dirlo cominciano a uscire cose strane. Vicina di casa coetanea del fratello grande (sedicenni con accenno di flirt ma nemmeno un bacio) aiuta nelle “indagini”.
Detto così sembra una vaccata, e non posso negare che tale lo si possa anche considerare, ma a chi ha la mia età e con certi film ci è cresciuto sono pronto a scommettere che piacerà. In “The Hole” c’è tutta l’innocenza perduta dei nostri dieci-dodici anni. Quella in cui il mondo delle fantasie bambine ha ancora una cesura netta con quello degli adulti, e che da esso si aspetta talmente poca solidarietà che preferisce “rischiare la vita” nascondendo il buco alla mamma piuttosto che comunicarle una (presunta) marachella. La stessa innocenza perduta che combatte il Male con una maschera da catcher e attende ore davanti al buco il suo manifestarsi, tranne poi addormentarsi nell’attesa. E’ il mondo dei bambini, quelli fortunati s’intende, in cui tutto accade per finta, in cui anche il Male è in fondo incruento, e l’unica cosa a far davvero paura è la paura.

Voto obiettivo: 5.5
Voto emotivo: 7


Dimensione carattereTroll Hunter

Quarto film da “svendita blockbuster”. Questo più di tutti lo ritenevo una “voglia di fichi secchi” come si suole dire dalle mie parti. Insomma, una trashata. Sono stato molto felice di sbagliarmi.
Un gruppo di studenti si mette alle calcagna di un uno strano cacciatore per girare un documentario sulla sua vita. Un bracconiere che uccide orsi, nominalmente, ma in realtà lavora per un’organizzazione del governo norvegese tesa a contenere la i problemi causati dai troll che escono dalle loro aree protette e a mantenerne nascosta l’esistenza.
Non aspettatevi i “Men in Black”, qui c’è solo sto cacciatore sfigato, il funzionario suo superiore che potrebbe benissimo fare il metalmeccanico e un gruppo di polacchi che procacciano orsi croati per dare a bere alla cittadinanza che i danni provocati dai troll siano in realtà provocati dagli orsi.
E non aspettatevi nemmeno i troll come creature demoniache provenienti da chissà quale recesso di universo magico, questi troll sono solo animali: puzzolenti, stupidi e mangioni. Il lavoro del nostro troll hunter è più simile a quello di un cacciatore delle nostre colline che contiene le nascite dei cinghiali e si occupa del fatto che non vadano in giro a fare troppi danni. Poi qualche caratteristica particolare questi troll ce l’hanno, tipo: sentono puzza di “cristiano” (nel senso: credente della religione cristiana), diventano di pietra o esplodono alla luce ultravioletta (ci spiega una veterinaria: hanno un problema con la vitamina D), alcuni hanno tre teste (ma due sono finte, se le fanno crescere perché attirano le femmine).
E oltre a queste ci sono varie altre cose geniali in questo filmetto, oltre a dei troll veramente bellissimi (che fanno B-movie abbestia, e per questo a mio avviso anche più belli!). La scena in cui in nostro troll hunter si mette una sorta di scafandro da palombaro perché deve fare un prelievo di sangue a una bestiaccia che lo piglia e lo sbatacchia come un pupazzo è una delle scene più spassose che mi è capitato di vedere negli ultimi anni.
L’espediente del documentario con relativa presa diretta e ritrovo del nastro alla scomparsa dei cineasti fa tanto “Blair witch project”. Anche un po’ troppo, per la verità ma comunque ha la sua efficacia e non inficia il risultato di un film davvero davvero godibile!

Voto: 8.5

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Visioni di Febbraio 21 Mar 2012 4:08 AM (12 years ago)

Siamo quasi ad aprile per cui se tutto va bene a stretto giro di posta arrivarenno anche quelle di marzo, se riesco a mettere fuori la testa dal popo' di cose che mi stanno stritolando (piacevolmente eh!) l'esistenza.

Questa storia qua

Per i sessant’anni di Vasco, La7 ha trasmesso un documentario sulla sua vita uscito nelle sale appena l’anno scorso. Personalmente non sono un amante di Vasco, anzi in realtà l’amore travolgente che i suoi fan gli tributano in maniera quasi religiosa mi hanno sempre fatto un po’ “tirare indietro il culo”, come si suole dire. Negli ultimi anni però mi sono un po’ ammorbidito e ho cominciato ad apprezzare anch’io la bravura di quello che è forse il più famoso dei miei conterranei. Questo documentario è sicuramente un’opera intima e sentita, le sue canzoni ci sono ma senza essere invadenti, i suoi concerti pure. Si parla più dei primi anni, si fa parlare più i suoi amici, si preferiscono le immagini di Zocca: un paesino come tanti sui colli dell’Appennino modenese in cui io sono stato decine di volte e potrei quasi riprodurre cartograficamente. Anzi oserei dire che Zocca sia la coprotagonista del documentario. Zocca che qui viene rappresentata un po’ il paradigma di Vasco: un outsider che ha sfondato col suo talento e che, come dice uno dei suoi amici ha sempre rifiutato l’idea sia di essere conformista che di essere anticonformista. Lui lo ha definito “non conformista” e per quel poco che ne so trovo la definizione azzeccata. Laterale, come lo è il montanaro alle beghe della città e del mondo. O forse solo come me lo immagino io.

Voto: 7


Valhalla Rising

Che dire…non mi facevo sì grasse risate dai tempi de “L’arciere di ghiaccio”!
Ora, credo che la prima cosa da sapere di questo film sia questa: il suo protagonista è un guerriero muto, ma nemmeno i suoi compagni d’avventura sono dei grandi oratori. E le poche parole sono pure piuttosto oscure. La velocità (a parte poche esplosioni di violenza) della storia è pressoché nulla. Se pensavate, per restare sullo scandinavo, “Lasciami entrare” fosse un film lento, questo al confronto va all’indietro.
Fatta questa premessa, perché questo aspetto del film è pressoché totalizzante e dovete esserne bene avvertiti, ora vi dirò però anche che Valhalla Rising è un film interessante. Definirlo “bello” sarebbe troppo, ma interessante di sicuro, vi basti pensare che la mattina dopo io e Simona ne abbiamo riparlato e questo non accade così spesso. Il film comincia con alcune parole in sovrimpressione che ci informano di come nell’epoca in cui ci troviamo (il medioevo delle crociate), il cristianesimo avesse spinto i pagani nelle regioni più inospitali del nord Europa. Il film è diviso in 6 capitoli (Ira, Il guerriero silenzioso, Gli uomini di Dio, La Terra Santa, Inferno, Il sacrificio) ed è la storia di un guerriero senza nome - battezzato One-eye dal ragazzo che viaggia con lui – che liberatosi dalla prigionia in cui è tenuto da una tribù dell’estremo nord della Scandinavia, si imbarca, insieme al ragazzo che lo segue e a un gruppo di cristiani convertiti in un viaggio verso Gerusalemme. Una terra santa che è per loro specialmente una terra promessa. Dopo settimane passate nella nebbia su una piccola imbarcazione (molto simile al viaggio di “Erik il vichingo” nell’eterna nebbia in cui Fenrir il Lupo tiene il mondo) la scalcagnata compagnia giunge in una baia dove vive un popolo primitivo. Ma forse sono già tutti morti.
Valhalla Rising è il “2001 odissea nello spazio” del paganesimo. La sua carne scivola nel metafisico quasi senza soluzione di continuità a testimonianza di come il “sacro” sia più vicino alla corporeità e alla percezione che all’astrazione “filosofica” o “teologica”. Ci sono alcune idee suggestive in questo film, quella che io ho preferito è la “ricerca del mare”. Quando la comitiva viaggia, in teoria verso la Terra Santa, si accorge ad un certo punto di trovarsi ancora nell’acqua dolce, in pratica di non avere mai lasciato le acque interne. Solo alla fine e solo il ragazzo, che non ha rimpianti o legami col passato riuscirà a trovare il mare e prendere il largo verso un futuro diverso: il futuro di una cultura e di un mondo che sta scomparendo e che per sopravvivere ha necessità di cambiare, scendendo a patti con il suo passato e trovando una nuova sintesi nel presente per proiettarsi verso un futuro diverso. Come, peraltro, tutte.

Voto: 6+


A serbian film

Siccome tra le altre cose io sono anche un collezionista di film estremi, avevo trovato questo segnalato nella categoria e ho sentito di non potermi sottrarre.
Attore porno ritiratosi dalle scene viene ingaggiato da un regista psicopatico per girare un film senza conoscerne la trama (sì, nonostante sia un porno, si porrebbe l’obiettivo di avere una sorta di trama…), ma è una trappola per drogarlo e fargli inconsapevolmente girare uno snuff. Alla fine ci andrà di mezzo anche la sua famiglia.
Diciamo la verità, “A serbian film” è veramente un film sgradevole, a tratti disgustoso. Siamo delle parti di Hostel, ma con una differenza importante. In “Hostel” affiora qua e là un grottesco salvifico e anche nella più bassa macelleria si avverte una sorta di pudore. Qui pure il grottesco c’è, ma non è affatto salvifico e la macelleria è senza pudori. Cioè, intendiamoci, molto avviene fuori scena (o sul suo "bordo"), ma basta il suggerimento per farti attorcigliare le budella.
Il regista ha dichiarato che si tratta di un film "di denuncia"... bah, sarà!
A me il tutto è parso decisamente gratuito e costruito ad arte per farti accaponare la pelle, missione nella quale peraltro riesce alla perfezione. Cinematograficamente parlando “A serbian film” non è brutto, però è davvero troppo sgradevole persino per il mio, invero non deilcatissimo, stomaco.

Voto: 5

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Sanremo 2012 seconda serata: la musica, finalmente! 16 Feb 2012 1:54 AM (13 years ago)

Archiviato Celentano e tutte le polemiche relative, la seconda serata del festival finalmente si centra sulle canzoni. Sono quattordici dei big più otto dei giovani, per cui il programma è fitto e bisogna sgaggiarsi. E’ una bella notizia, perché tendenzialmente ci risparmia nefandezze. Questa volta io e Simona siamo ben preparati, abbiamo fatto il nostro foglio, codificato il nostro sistema di voto “a faccine”. E’ composto da due voti buoni (sollucchero e piacere moderato), una sufficienza e quattro livelli di insufficienza (scarsità, schifo, morte ed esplosione). Siamo però un po’ preoccupati perché non intravediamo molti personaggi chiaramente impresentabili che ci consentiranno di utilizzare una profusione di voti bassi.


Ed ecco qui i risultati (tradotti in numeri)
Nina Zilli: 5 una noia terribile.
Arisa: 6+ risentendo questa e le altre rivedo al ribasso il mio giudizio (e il relativo posto in classifica) assegnatole ieri, canzone non brutta ma nemmeno troppo geniale.
Gigi D’Alessio e Loredana Bertè: 10 o 0 indifferentemente. Preferisco non pronunciarmi. Eliminati.
Pierdavide Carone (feat. Lucio Dalla): 6.5 lui è un po’ anonimo in effetti, ma la canzone ha il suo perché, non mi aspettavo che li buttassero fuori.
Matia Bazar: 6 cosa dire? La canzone è senza infamia e senza lode, la salva però qualche eco seventies.
Finardi: 6+ lo sproloquio di Celentano lo aveva danneggiato ai miei occhi. La sua voce mi è sempre piaciuta e alla fin fine anche il testo non è pessimo.
Emma: 2 coattissima. Stile zero, testo di impegno facilone e stampo facistoide. Le risparmio lo zero giusto perché lei ci risparmia la canzone d’ammmòre.
Marlene Kuntz: 7 come detto ieri, una delle canzoni migliori del lotto, ovviamente cassati dalla giuria demoscopica.
Irene Fornaciari: 6,5 Ritmo indiavolato, aperture rock ma anche folk, testo che ha una qualche ricercatezza. Probabilmente sarebbe la canzone più bella se solo la cantasse qualcun altro (lei è abbastanza intollerabile), tipo Van De Sfroos che l’ha scritta. Eliminata, per quanto mi riguarda, inaspettatamente.
Samuele Bersani: 7 piccola, garbata, piacevole, bel testo specie perché ci risparmia i massimi sistemi (e anche l’ammmòre…).
Chiara Civello: 5 qualcuno ha detto “la più grande cantante jazz della sua generazione”. Solo perché qualcuno lo ha detto non è detto che sia vero. E se anche lo fosse, la sua canzone rompe comunque le palle di brutto.
Noemi: 7+ canzone di impianto solido, capace di mettere d’accordo critica e pubblico, lei effettivamente ha una belle voce. Candidata ad una (non immeritata) vittoria secondo me insieme a Renga e (spero di sbagliarmi) Emma.
Renga: 7+ stesso voto e stesso commento di Noemi, canzone solida, bella voce, candidatura alla vittoria.
Dolcenera: 5 fa un sacco di fracasso e di smanezzo ma il risultato principale è “irritazione”.

“Canzoni mediocri”, si leggeva ieri in giro per la rete, ma non lo si dice forse tutti gli anni? Un po’ è stato l’effetto Celentano, un po’ è che la prima volta che senti una canzone, specie se in una sera ne senti quindici, è raro che ti colpisca molto. Alla fine io sono abbastanza soddisfatto. Secondo me le canzoni non sono brutte, tanto è vero che abbiamo dato pochissime insufficienze. Per giunta devo dire che rispetto a passate edizioni la quantità media di rottami (sia del passato che di neo-rottami recuperati in luoghi vari) è piuttosto bassa.

Un discorso a parte va fatto per i Ciòfani.
Solitamente io li odio i Ciòfani di Sanremo: sono più scarsi, piatti e… vecchi dei vecchi. Quest’anno no, tutt’altro.


A parte la canzone di Alessandro Casillo, anni 15, che per definizione non essendo maggiorenne non c’ha colpa, le altre erano tutte tra il decoroso e il bello. Anzi le canzoni di Celeste Gaia e (specialmente) Marco Guazzone sono probabilmente le mie preferite del festival. Ma niente male nemmeno i Bidiel e comunque più che passabili anche tutti gli altri. Che cosa è successo? Mah! Così a occhio direi che hanno cambiato il metodo di selezione, stavolta ciascuno usciva da un percorso di differente e articolato, Morandi li ha anche citati ma non me li sono annotati.
Ricordo invece un anno – non molto tempo fa - in cui tra i Ciòfani c’erano tipo tre figli di cantanti famosi: facevano tutti abbastanza cagare (o suppergiù...).

Se Sanremo è lo specchio dell’Italia si potrebbe anche pensare che ciò significhi qualcosa: ossia che forse certe rendite di posizione si stanno un po’ erodendo. Certo è pur vero che il festival lo vincerà probabilmente Emma Marrone. E’ pur vero che l’evento per antonomasia sarà stato Celentano e il suo codazzo di polemiche. Che i comici di serata (i Soliti Idioti) erano anche più infestanti di quelli dell’anno scorso, ossia quei Luca e Paolo che già mi piacciono il giusto. Che non si capisce perché, torcicollo a parte, nel 2012 dobbiamo ancora comprare dall’estero un quarto di bue di valletta che non sa parlare l’italiano e non sa ballare. Cacchio, quando è arrivata Ivanka Boh con i suoi 15 centimetri di dentatura cavallina e dopo dieci secondi ha rimarcato che aveva le tette più grosse di Belen Rodriguez ho rimpianto la suddetta e la sua compagna di merende Canalis. Che non è che mi stiano, di base, simpatiche.
Ma si sa che l’Italia è un paese contraddittorio, e alla fin fine a me purché dia segno di muoversi va bene (quasi) tutto. E in definitiva Sanremo è pur sempre (solo e ostinatamente) Sanremo.


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Sanremo 2012: la valletta allettata, la giuria esautorata e il pippone di Celentano, canzoni sullo sfondo 15 Feb 2012 12:34 AM (13 years ago)

E così anche quest’anno mi sono fatto prendere dal mio solito attacco di nazionalpopolarismo e mi sono sciroppato la prima serata di Sanremo. Io e Simona siamo arrivati un po’ lunghi per la verità, accendendo la tv soltanto alle nove e un quarto, nel momento in cui saliva sul palco il primo cantante in gara. Di cosa sia successo prima (e nemmeno se ci sia stato un “prima”) non saprei dire. Tra l’altro ci stavamo mettendo a tavola per cui abbiamo ascoltato le prime canzoni con l’orecchio sinistro e (ahimè!) non abbiamo compilato la solita tavola dei voti… ma magari stasera rimediamo.

Quindi fuoco alle polveri: comincia Dolcenera che per quanto mi riguarda esiste solo sul palco di Sanremo, in galleria la giuria demoscopica vota e già intuiamo qualche problema nel sistema. Poi c’è Samuele Bersani e il sistema di votazione elettronico è già in crack. Morandi ci annuncia che la valletta ufficiale (Ivanska Boh) è stata vittima di una sorta di colpo della strega e dietro le quinte stanno riesumando Elisabetta Canalis e Belen Rodriguez per allietarci di bellezza femminile. Cantano (dignitosamente) Noemi e Renga, entra Rocco Papaleo coi suoi diversi centimetri di esoftalmo e a me torna in mente “Classe di ferro” quella serie di fine anni ottanta sulla naja con la sigla cantata da Jovanotti e Pappalardo nella parte del sergente Scherone.
A suo modo è un bel ricordo. A suo modo.
Cantano anche una certa Civelli e Irene Fornaciari quindi arriva il molleggiato.

Celentano sorge dalla macerie del corpo di ballo dopo un filmato di apocalisse guerresca.
Attacca coi preti che nelle chiese hanno regolarmente un impianto scadente e negli ultimi banchi non si sente mai il sermone, “eppure il Vangelo era stato chiaro sull’argomento: gli ultimi saranno i primi nel regno dei cieli”. E qui già capiamo che siamo entrati in una zona ai confine del reale.
Poi con un tratto di penna bipartisan il molleggiato cancella Famiglia Cristiana e Avvenire grazie a un ragionamento alla “cosa scrivono a fare se tanto c’è la fame nel mondo” … e di qui in poi è tutto un piano inclinato tra la retorica populista e il delirio pseudomistico.
Un indigeribile polpettone da religiosità carismatica in cui il predicozzo ogni tanto si apre in una cantatina, e ad un certo punto ti aspetti che venga inquadrato John Belushi sul fondo della sala che, inargentato da un raggio di luce, grida “labbanda - labbanda”.
(P.s.: se vedete male il filmato cambiategli la qualità a 240p - la rotella in basso a dx)



Invece dal pubblico si alza Pupo, nella cui aura aleggiano i fantasmi di Emanuele Filly e Claudio Lippi e della finalissima di due anni fa conquistata a colpi di televoto da call center. Con argomenti da Grima Vermilinguo Pupo difende i lorsignori della Corte Costituzionale che hanno bocciato il referendum sulla legge elettorale santificato da un milione e duecentomila firme del popolo (perché va da sé che intanto l’abbiamo buttata in politica). Ma è il compare naturalmente, le cui parole servono solo a evocare un effetto rinforzo per quelle di Celentano. Il quale nella circostanza si lascia pure andare a qualche colpo di autoironia (finta, pelosa e pontificatoria, s’intende). Ultimo pistolotto sul sacrificio di Gesù morto per noi e finalmente, dopo un’ora almeno di strazio, il molleggiato si leva dalle palle.
Un grande spettacolo comunque. Davvero, eh, non scherzo. Non mi viene in mente nessuno in grado di evocare lo stesso clima da allucinazione collettiva. Magari Goebbels, chissà...

E a proposito di allucinazioni, riprende la gara: sul palco transita Emma Marrone che ci crocefigge i testicoli con una canzone “impegnata” su un reduce di guerra che non arriva a fine mese. Quindi arrivano i Marlene Kuntz che io di solito porto ad esempio di noia-fatta-a-musica ma in questo caso fanno forse il pezzo più bello della serata (se solo cambiassero quel cantante che, come si dice dalle mie parti, “al sàmbra Zalamòrt”…).
Arrivano le vallette di recupero, Belen ci informa che indossa il vestito di Ivanska e se lo aggiusta compulsivamente al seno, tanto che un po’ tutti ci poniamo domande su quali siano le sue misure se Belen ci balla dentro. Con Finardi arriva un altro fiotto di delirio pseudomistico, poi il duetto Bertè/D’Alessio su cui preferisco soprassedere.
Qui da qualche parte Rocco Papaleo fa cinque-minuti-cinque di teatro (i più divertenti di tutta la serata), poi ci assopiamo con Nina Zilli (e d’altronde ormai è mezzanotte…), quindi c’è Pierdavide Carone (featuring Lucio Dalla) che dimostra una qualche grazia. Penultima canta Arisa, che per una volta dismette la vocetta da Chipmunk e forse si piazza seconda nelle mie preferenze. Nota a margine: confesso che al di là di tutto ho una qualche simpatia per Arisa, come giudice dell’ultimo X-factor stretta tra Elio, la Ventura e il pestifero Morgan (che non perdeva occasione per tormentarla) era certamente l’alligatore albino della situazione e ha portato la croce con decoro. Ultimi cantanti in gara: Matia Bazar, di cui maggiormente mi è rimasto impresso nella memoria il vestito stile giubbotto di salvataggio di Silvia Mezzanotte (che peraltro al di là di questo mi piace moltissimo…).

In conclusione di serata arriva la nemesi storica. Dopo la paternale sulle firme del referendum mandate in niente dai lorsignori della Consulta, il voto della giuria demoscopica (che doveva eliminare due cantanti su quattrodici) viene annullato perché il guasto al sistema lo ha reso inaffidabile.
Ergo: uscite vino e taralli che non fu vera gara, tutti promossi alla seconda puntata.
Perché Sanremo è Sanremo.

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Visioni di dicembre/gennaio (seconda parte) 11 Feb 2012 9:18 AM (13 years ago)

Ecco qui la seconda parte delle mie visioni, come potete notare dai voti con un'unica eccezione sono state "più fortunate" delle altre...

Non pensarci

Film di un mio conterraneo: Gianni Zanasi, nato a Vignola in provincia di Modena, come me. Di lui molti anni fa avevo visto “A domani”. Un filmino piccino picciò che non aveva lasciato grande traccia dentro di me e in cui l’unico motivo di interesse era stato il vedere sul grande schermo pezzi della mia terra, una cosa che mi emoziona sempre un po’. “Non pensarci” è film di tutt’altra densità. Innanzitutto ha uno stuolo di attori veri, e anche ben scelti: Valerio Mastrandrea e Giuseppe Battiston sono tra i miglior attori del cinema italiano secondo me e anche Anita Caprioli non sfigura (anche se ha uno sguardo un po’ fisso, fa patta con una notevole presenza scenica…). Poi la storia, pur rimanendo leggera è assai più interessante e anche i personaggi sono decisamente più incisivi. Splendido specialmente quello di Mastrandrea: un’eterna promessa della chitarra rock che a trentacinque anni deve ancora fare “il disco” e intanto sbarca il lunario con una band di metallari che hanno quindici anni meno di lui. Nel complesso è un film davvero godibile. Ho letto che ne hanno tratto anche una serie tv, me la voglio procurare.

Voto : 7+


La spina del diavolo

Prima de “il labirinto del fauno” Guillermo del Toro aveva già provato a girare un horror che non fosse un vero horror sullo sfondo della guerra di Spagna. Anche qui la ricostruzione è ottima e offusca quasi una storia di fantasmi da che negli ultimi dieci anni (questo film è del 2001) abbiamo, nei suoi tratti generali, ahimè visto declinata in mille modi e fin troppe volte (the Orphanage, Saint Ange, Il mistero di Rookford solo per dire i primi che mi vengono in mente). Cionondimeno appunto per il respiro della storia, che non si limita alla paura, ma in realtà ci dice molto di più su tutto quel che vi ruota attorno, resta un film assolutamente da vedere. Menzione speciale per Eduardo Noriega che da Tesis (il primo film di Amenabar) a qui sembrava essersi abbonato al ruolo del belloccio cattiverrimo. Chissà se dopo gli hanno dato anche dei ruoli diversi…

Voto: 7.5


The sky crawlers

In un presente ucronico è in corso un’eterna guerra tra due fazioni. Si svolge solo nei cieli e coinvolge soltanto i kildren, eterni adolescenti/eroi clonati allo scopo di guidare gli aerei da guerra. Non conosciamo i limite geografici delle fazioni ma sappiamo che la conduzione del conflitto è stata appaltata a due compagnie aeree private: la Rostock e le Lautern. Ma forse, anche se i kildren muoiono sul serio, è tutta una finzione.
Una guerra fatta per non finire mai, la chimera di un'età adulta che non porterà mai stabilità all'inquietudine dell'adolescenza, un avversario invincibile (che non a caso i kildren chiamano "il professore")... butto lì giusto qualche seme per incuriosirvi; “The sky crawlers” comincia con un tema musicale di grande impatto, ha idee interessanti e una struttura solida, un’animazione originale (i personaggi sono disegnati con una tecnica diversa dagli sfondi che sono generalmente molto curati ma statici), una drammatizzazione che funziona… e cieli bellissimi. Miyazaki a parte, il meglio dell’animazione giapponese che mi è capitato di vedere negli ultimi anni. Sotto forma di film almeno.

Voto: 8


Specchio della memoria

Giusto per farvi capire che non è che tutti i film che guardo siano belli. Anche se, dal momento che li scelgo con una certa cura, di solito riesco effettivamente a schivarmi quasi tutti le sòle. Ed eccola qua la sòla di gennaio. Un bel film proveniente dalla metà degli anni novanta, thriller con qualche connotato fantascientifico. Ma più che altro fantascemo: ahimè il presupposto va a pescare proprio nel mio campo di studi per cui devo proprio chiudere entrambi gli occhi per non vedere quale sia il suo livello di assurdità. Peccato che anche con tutti gli organi di senso turati rimane comunque piuttosto brutto. La tensione è sotto le scarpe, gli sbadigli proliferano e poi specialmente sapete cosa? La fisiognomica degli attori. Dopo due minuti di film io ho detto: “So chi è l’assassino” soltanto incorciando le facce degli atori con i loro ruoli. Ci ho azzeccato: e non è mica la prima volta! Dovrei fondare una disciplina a questo riguardo, certo funziona solo con i cineasti fessi.

Voto: 4


Deep water

Nel 1969 il Sunday Times indisse la prima regata in solitaria intorno al mondo senza scalo. Dei nove partecipanti solo uno arriverà al traguardo. Il documentario si focalizza sulla figura di Donald Crowhurst un ingegnere velista della domenica che progettò e costruì la sua imbarcazione finanziato da un privato con un contratto che prevedeva la restituzione del denaro in caso di fallimento del viaggio. Crowhurst parte l’ultimo giorno utile (era possibile partire dal 1 luglio al 31 ottobre ed erano previsti due premi: per il primo ad arrivare e per il viaggio più veloce) nonostante i problemi della sua imbarcazione per non dover restituire il denaro, cosa che lo avrebbe ridotto sul lastrico. Resosi presto conto che l’imbarcazione non potrà portarlo a destinazione (un viaggio di più di 300 giorni) dapprima tenta di falsificare il diario di bordo dichiarando di aver navigato l’Oceano Indiano e il Pacifico mentre in realtà non lascia mai l’Atlantico, poi si suicida.
La vicenda di Crowhurst è una di quelle storie vere che sembrano false, destinata a rovesciare il mito dell’outsider geniale e vincente: un antieroe stritolato dal suo animo di sognatore che non sa valutare i suoi limiti e si rifugia prima nella menzogna e poi nella follia e nel suicidio. La ricostruzione, fatta di interviste e filmati d’epoca è accurata, rigorosa e partecipe. Un documentario esemplare.
Per un approfondire il tema seguite questo link.

Voto: 9

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Visioni di dicembre/gennaio (I° parte) 8 Feb 2012 2:57 AM (13 years ago)

Oggi esordisco con un nuovo progetto. Microrecensioni per tutti quei film che non ho il tempo di trattare con la dovuta cura, riunite per periodo di visione. Per l'occasione ho deciso di recuperare anche qualche pellicola di dicembre e ho deciso di spezzare il tutto in due post per non farle diventare troppo pesanti. Buona lettura.

I pilastri della Terra

Serie in sei episodi tratta dal bestseller di Ken Follett. Premesso che io il libro non l’ho letto (ho anzi una sorta di blocco al riguardo: sebbene non abbia niente di strano sono patologicamente incapace di girare la prima pagina…), questa serie mi è piaciuta… abbastanza. Ossia diciamo che mi è piaciuta molto fino a metà. Poi all’ennesimo tradimento dei più pessimi tra i cattivi, all’ennesima volta che il villaggio tal dei tali viene raso al suolo, all’ennesima idiozia scellerata del fratellastro del protagonista, all’ennesimo colpo di scena da drammone ho cominciato onestamente un po’ a stancarmi. Resta comunque una serie più che dignitosa, un’incollatura sopra alla maggior parte delle fiction che mi è capitato di vedere in questi anni (che sono però in media abbastanza scrause…)

Voto 6.5


Vatel

Ho letto da più parti commenti negativi su questo film, ma non condivido. La storia di Vatel, maestro di cerimonie alla corte di un nobile francese che deve preparare tre giorni di festeggiamenti per una visita del Re Sole, secondo me è un o spunto molto interessante. Ci si aggiunge una confezione assolutamente sontuosa, una ricostruzione storica assai accurata, la giusta dose di intrighi e politica e ottieni un film che non può essere brutto. E infatti non lo è. Forse è meno bello di quanto si potesse sperare, sicuramente il finale è mal risolto, però fino a tre quarti almeno è un assoluto piacere per gli occhi.

Voto 6.5





L’educazione fisica delle fanciulle

Altro film che ho voluto vedere nonostante ne avessi letto male, a volte anche malissimo. Però vista l’atmosfera da fiaba nera per me era quasi irrinunciabile. Parliamone eh, siamo dalle parti di “In compagnia dei lupi”, mica di “Cappuccetto Rosso sangue”. Anzi, ancora meglio direi “Picnic ad hanging rock”: un paio di scene lo ricordano smaccatamente, e così pure le dinamiche saffiche tra le ragazzine (argomento trattato con molto pudore, sia chiaro). Nel complesso devo dire che l’atmosfera di tutta l’operazione mi è piaciuta molto, anche se in effetti non si può negare che sul finale ci troviamo di fronte alla classica montagna che partorisce il topolino. Nel complesso un film tutt’altro che perfetto ma che ha il suo fascino.

Voto 6




Le quattro piume

Terzo film di fila che ho voluto vedere nonostante ne avessi sentito parlare male. Nonostante non mi ritenga un cinefilo di bocca particolarmente buona, devo dire che anche in questo caso la cattiva fama mi pare abbastanza immeritata. Shekhar Kapur (già regista dei due Elisabeth), traspone sul grande schermo per la x-esima volta il romanzo omonimo del britannico A.E.W. Manson del 1902. Il suo film è visivamente bello, avventuroso e spettacolare la sua parte (la scena del quadrato in battaglia è stupenda), anche se forse un po’ superficiale nel caratterizzare i personaggi (un portato del romanzo?) e un po’ lungo. Senza alcun dubbio retrò.

Voto 6+





Le idi di marzo

Ho sentito la presentazione del film su “la rosa purpurea” (il programma di Radio 24) mentre ero in Val Maira e ho capito immediatamente che questo film faceva per me. Non mi sbagliavo. “Le idi di marzo” è un film che parla di politica, anzi sarebbe meglio dire "che ha la politica come argomento" (un po' come ACAB parla di poliziotti). Guarda da vicino la "macchina della politica" (e del consenso) ed è anche un po’ difficile da seguire per noi che non conosciamo come funzioni precisamente la legge elettorale degli Stati Uniti. Ma tranquilli, al di là dei bizantinismi regolamentari il film è chiarissimo. Rigoroso come un documentario (regia e fotografia pulitissime per non distrarvi dalla storia), affilato come una lama di rasoio.


Voto 8



L’età dell’innocenza

Ecco un film che mi ero sempre perso e che finalmente ho trovato la risolutezza per vedere. Ho fatto bene. Non sto nemmeno tanto a parlarvene, perché probabilmente ero l’ultimo rimasto sulla terra che non lo aveva ancora visto. Affresco dell’alta società newyorkese di fine ottocento, raffinato e amarissimo dal romanzo di Edith Wharton (1920) nonché una storia d’amore mai agita ma già condannata. Regia di Scorsese, Day Lewis e Pfeiffer stellari, Oscar per i costumi. Una citazione (la prendo dal libro ma nel film è quasi uguale): “I Lanning sopravvivevano soltanto nelle persone di due vecchissime ma vivaci signorine, che vivevano allegramente abbandonandosi ai ricordi in mezzo a ritratti di famiglia e mobili Chippendale; i Dagonet costituivano un clan considerevole, imparentati con i migliori nomi di Baltimora e Filadelfia; ma i van der Lyduen, che stavano sopra di tutti, erano svaporati in una sorta di crepuscolo ultraterrestre…”

Voto 9

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ACAB 2 Feb 2012 12:53 AM (13 years ago)

Dicevo, giusto il post scorso: “tanto al cinema ci vado meno di dieci volte l’anno, non sarà oneroso scrivere una recensione estesa a film”. Detto fatto, secondo film in meno di una settimana… una rarità comunque. Vedrete che passerò mesi senza scrivere nulla al riguardo. Poco male, visto che sono bloccato a casa dalla neve e dall’influenza, un po’ tempo per scrivere ce l’ho.

TRAMA: difficile ricostruire in la trama di ACAB, tutto comincia con Favino (per gli amici Cobra) in motoretta nella notte sulle strade di una Roma deserta che canta “celerino figlio di puttana” (lui stesso è un celerino, badate) e viene investito da un’auto. Si rialza, va verso il suo investitore il quale scappa, probabilmente la macchina è rubata. Cobra benché ferito lo insegue e lo riempie di botte. Adriano è appena entrato in servizio, Cobra, Mazinga (Marco Giallini), e Negro (Filippo Nigro), lo fanno entrare nel clan chiudendolo nel loro furgone con un lacrimogeno, finché lui semiasfissiato non si libera rompendo il parabrezza. Mazinga si prende una coltellata durante la guerriglia urbana con vari gruppi di ultras e rimane zoppo, suo figlio intanto scappa di casa e va a vivere in un centro sociale di destra. Negro si sta separando dalla moglie cubana, lei non gli fa vedere la figlia, lui la picchia. Cobra è a processo per aver rotto i denti a un ultras. Sullo sfondo, la storia. La morte di Raciti, quella di Sandri, quella della Reggiani, in lontananza il G8 di Genova.

COMMENTO: ACAB è un acronimo per “All Cops Are Bastard” era un adagio degli skinheads anni ’70 e Corba veste quest’affermazione (nella sua versione italiana da stadio) come una corazza tanto che la canta più volte. I celerini di Sollima sono gente dura e la violenza è la cifra di questo film, tutto “a destra”. Sarà vero che “tutti celerini sono fasci”? Io non ho modo di verificare, Carlo Bonini, giornalista di Repubblica che ha fatto un’inchiesta e ci ha scritto il libro omonimo, sostiene di sì (sono loro stessi ad affermarlo, a quanto ho capito…).

In ogni caso il film parte da questo assunto. Cobra ha una croce celtica tatuata sulla schiena, in casa varie riproduzioni con il Duce e consimili. Tutti gli altri se anche non lo palesano con la stessa forza, la pensano come lui. Sono arrabbiati, incattiviti, si sentono traditi dallo Stato che hanno giurato di servire perché in questo vedevano un modo di portare l’ordine necessario a un’Italia migliore. Lo spirito di corpo, il senso di fratellanza, è la loro forza più grande. “Un fratello è un fratello sempre, anche quando non è più un celerino, anche quando sbaglia” dice (suppergiù) Cobra per educare Adriano. Adriano che è giovane, che ci sente tradito anche dalla sua parte politica che è troppo molle per far sgombrare i clandestini dalla casa popolare che spetterebbe a sua madre, che è entrato nella celere perché “fare la guardia è un lavoro onesto”, che non riesce ad accettare gli eccessi dei suoi compagni rotti ormai ad ogni esperienza. E in effetti l’altra cifra di questo film (oltre la violenza) è la confusione. Il gruppo è tutto, perché fuori dal gruppo è un “tutti contro tutti” in cui è impossibile sopravvivere, un inferno di violenza quotidiana ripiegato su sé stesso in un autismo senza speranza. E alla fine questi “poliziotti bastardi” un po’ li capisci pure, se anche di certo non sono simpatici e le cose che fanno di certo non le puoi accettare.

Comunque in buona sostanza, a me questo film è piaciuto moltissimo. Innanzitutto è uno spaccato coraggioso del mondo della destra romana (la destra di base, non quella dei palazzi) cinematograficamente poco e mal rappresentato (al riguardo mi viene in mente solo “Come Dio comanda” di Salvatores). Poi è molto interessante la dinamica dei gruppi sociali (e d’altronde il binomio “noi-loro” è una delle tematiche culturali più radicate della destra), nonché il fatto stesso che paradossalmente con tutti i film gialli, polizieschi, poliziotteschi e d’azione che si vedono in giro, questo è un rarissimo caso di film che parla proprio della polizia. Attori ottimi, regia splendida, drammatizzazione perfetta. Da vedere.

Voto 8.5

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La talpa 29 Jan 2012 8:13 AM (13 years ago)

Con l’anno nuovo ho cercato di darmi la regola di scrivere una recensione di tutti i film che vado a vedere al cinema. Non dovrebbe essere troppo oneroso perché negli ultimi anni ne sono sempre andato a vedere tra i cinque e i dieci all’anno e non credo che nel 2012 andrà diversamente. Avevo cominciato bene il dicembre scorso con “il mistero di Rookford”, poi sotto Natale ho già cannato “Le idi di marzo”. Un peccato tra l’altro perché è stato assai interessante. Ma forse lo recupero in un altro progetto.
Comunque eccoci qui: “la Talpa”.


Trama: E’ il 1961 e siamo in piena guerra fredda. Il capo dei servizi segreti britannici (John Hurt, il cui nome in codice è Controllo) manda l’agente Jim Prideaux in Ungheria ad incontrare un generale che ha delle informazioni sulla “talpa”, un uomo che si trova ai massimi livelli del circus (il servizio segreto britannico, appunto) ed è in realtà venduto ai russi. Ma è una trappola: qualcosa va storto e Jim viene ucciso. L’incidente diplomatico che ne consegue porta alla destituzione di Controllo e del suo secondo George Smiley (Gary Oldman) e alla loro sostituzione con Percy Alleline e Roy Bland. La teoria riguardante l’esistenza di una talpa viene accantonata. Un anno dopo, Controllo è morto e Smiley viene richiamato in servizio per riprendere le ricerche sulla talpa da dove Controllo le aveva interrotte. I candidati di Controllo erano cinque tra cui uno era Smiley stesso…


Commento
: Se appena avete letto “servizi segreti britannici” vi è venuto in mente un film di 007 toglietevelo dalla testa. Non ci sono botte, spari e inseguimenti in questo film. A occhio oserei dire che vengano esplosi tre colpi di pistola, di cui due all’inizio contro Jim Prideaux (riguardo al terzo, mi taccio). Questo non è un difetto, almeno non per me, fosse stato un film alla James Bond sarei stato a casa. “La talpa” è un film di altri tempi, più malinconico che teso, dove tra un ellissi narrativa e un flashback tutto si gioca sui rapporti umani, sull’incresparsi di un sopracciglio, su un gioco di pesi e contrappesi che disegnano a poco a poco una presumibile verità.
Bello? Senza dubbio sì, ma anche molto freddo e plumbeo (sia come meteo che come atmosfera). E anche un po’ enigmatico: della serie, sapete quando un regista (o l’autore di un libro) a un certo punto fa fare a un personaggio lo spiegone a un altro perché così capite anche voi? Beh, qui col cazzo che ve lo fanno lo spiegone, se capite capite, se no affari vostri.
Una menzione anche per la colonna sonora di Alberto Iglesias, di cui già mi aveva copito quella di "Tutto su mia madre" una decina di anni fa.

Voto: 7.5

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"Le sorgenti del Dumrak" è in stampa! 28 Dec 2011 3:25 AM (13 years ago)

Siore e siori, la notizia che sono ad ammannirvi è storica, almeno per me.
Ve l’avevo anticipato già nel post di riapertura del blog a inizio ottobre, ma pareva una cosa lontana, giugno 2012, forse settembre… e ben si sa che i tempi editoriali sono sempre soggetti a slittamenti. Invece, sorpresa delle sorprese questa volta c’è stato un anticipo. Il primo libro della saga di Finisterra (di cui vi esorto ad andare a dare un’occhiata al blog se ancora non lo avete mai fatto) che si chiama come detto “Le sorgenti del Dumrak” ed è scritto a dieci mani con i quattro miei colleghi del laboratorio di scrittura Xomegap, uscirà all’inizio di febbraio e lo presenteremo in anteprima al BUK, la fiera della piccola e media editoria che si svolgerà a Modena.
Ho aspettato a parlarne qui perché fino a prima di Natale abbiamo tenuto la novità “coperta”, ma un altro dei motivi di ulteriore rallentamento ci questo mio diario è stato ovviamente anche il febbrile lavoro di messa a punto finale del testo e tutti gli annessi e i connessi (tutte miserabili scuse naturalmente…).
Che altro dire? Nulla di particolare, rimirate magnifica la copertina qui sotto e correte a leggere tutto il blog, sono già disponibili prologo e primo capitolo (in una versione semi-definitiva), nonché una parte del setup del mondo che abbiamo messo on-line nel corso degli ultimi due anni. Eh sì, perché sono almeno tre che ci lavoriamo alacremente e oltre a quello che si vedrà nel testo c’è molto molto lavoro in più che non arriverà mai alla luce. Come ogni volta che si crea un mondo fatto per bene, naturalmente. E in questo Finisterra ci lascia molto soddisfatti.


Inutile dire che siamo molto felici che questa nostra opera veda la luce anche perché siamo già sotto contratto per il secondo e il terzo volume, da far uscire nel 2013 e nel 2014 rispettivamente. Il secondo peraltro è sostanzialmente già scritto e in questi giorni in fase di editing. Un altro motivo del rallentamento di questo blog (altre miserabili scuse…).
Nota a margine, dovevamo cambiare anche nome al laboratorio, siamo stati sull’orlo di farlo ma poi ci abbiamo ripensato. Siamo nati e restiamo Xomagap, almeno per ora. Comunque sia a scanso di equivoci il libro è firmato coi nomi dei singoli autori.
Buona lettura! (del blog, per ora…)

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1921 - Il mistero di Rookford 16 Dec 2011 1:42 PM (13 years ago)

Florence Cathcart è una donna indipendente, di carattere e rigidamente scientista. Di mestiere smaschera truffatori dell’occulto e non gliene sfugge uno, finché non viene invitata ad indagare sulla morte di un bambino nel collegio di Rookford…



Cominciamo col dire questo: il mistero di Rookford è un film che ha classe. E’ un film molto europeo, molto inglese per la precisione – e in effetti non ho potuto fare a meno di notare che è prodotto dalla BBC.
Ora, io non sono certo uno di quelli che “ah! i film inglesi” (o francesi, per dire) e “Che schifo” quelli americani, ci mancherebbe. Né che dice che i film hollywoodiani siano incapaci di classe o altre simili sciocchezze. Comunque il fatto resta, il mistero di Rookford è un film di classe e io per questo l’ho apprezzato. Si prende il tempo giusto per dare alla storia uno straccio ci collocazione temporale, per dirci qualcosa dei personaggi senza sbattercelo troppo in faccia o tagliarli con l’accetta. Ha due protagonisti belli senza essere troppo levigati e belli (per indole mi riferisco più alla protagonista femminile, ma penso che la cosa possa valere anche per quello maschile, le fanciulle nel caso mi contraddiranno nel caso abbia torto…), ha la giusta dose di paesaggi lividi, di lentezze, di atmosfera.
Se dovessi fare un paio di parallelismi, “The Others” e “The Orphanage” sono certamente i suoi riferimenti più robusti. E questo è anche uno dei due limiti del film, quello di faticare un po’, nonostante molti apprezzabili sforzi, ad uscire dal clichè. Il secondo limite invece è che secondo me ha uno script e uno sviluppo più che buono, ma diventa un po’ anticlimatico quando è ora di tirare le somme. Badate, tutto si spiega, tutto torna, tutto ha una sua ragione ragionevole (nella logica di un film di fantasmi…) assai più solida che in altri film: non rimarrete delusi da una soluzione vaccata, anche la soluzione ha la sua dose di classe.
Però. Però come dicevo tutto questo ha un risvolto anticlimatico, e forse il punto è proprio questa necessità di spiegare per bene tutto con troppa pedanteria: la sensazione è che bisognasse trovare un modo per chiudere la storia con dieci minuti in meno di film e assumersi anche il rischio che non tutti gli spettatori capissero proprio tutto per bene. Un po’ come ne “Il sesto senso” (altro riferimento non peregrino) in cui quando si scopre il colpo di scena tutto accade in pochissimi minuti, senza diluirsi in troppi spiegoni.
Detto questo resta comunque un buon film, con diverse soluzioni davvero interessanti. Specialmente la casa di bambola che si trova all’ultimo piano della del collegio e che rappresenta la villa stessa e quel che dentro vi succede, per me è strepitosa.

Voto: 7+

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Roberto Cacciapaglia - Ten Directions 3 Nov 2011 8:11 AM (13 years ago)

Ho pensato di ritardare di qualche giorno la recensione di Ergo Proxy, così nel frattempo mi vedo anche la terza puntata e ho l’occasione di farmi un’idea più precisa (la prima puntata mi era piaciuta un sacco, la secondo un po’ meno…), quest’oggi invece due parole su un’altra delle mie ultime passioni musicali: Roberto Cacciapaglia. Avevo già pubblicato qualche tempo fa un video di “Lux libera nos”, di cui mi piaceva moltissimo oltre alla musica anche il soggetto fantasy. Mi ero fatto l’idea che Roberto Cacciapaglia fosse un giovane compositore che si rifaceva a gruppi classic/pop tipo gli Era o i Deep Forest (rispettabilissimi ma che trovo alla lunga un po’ stucchevoli). Niente di più falso. Cacciapaglia da sulla sessantina, e il suo primo album è del 1975, ha scritto opere e numerose sue composizioni sono state usate per spot televisivi. Insomma è una di quelle persone di cui senza saperlo probabilmente conoscete tutti un sacco di musica. Tra l’altro, quando ancora non avevo chiarito a me stesso il malinteso, cercando altri video ho scoperto che quello di “Lux libera nos” non era un video originale, bensì un assemblaggio amatoriale di pezzi di pubblicità di una marca di prodotti tricologici. Mi sono cadute le braccia, ma comunque devo dire che il tizio che ha fatto il montaggio ha fatto davvero un buon lavoro. In ogni caso, venendo al punto, ho deciso di procacciarmi l’ultima fatica del Cacciapaglia: “Ten Directions”. E’ un paio di mesi che lo ascolto a fasi alterne. Specialmente è stato un po’ la colonna sonora delle mie vacanze in Val Maira, una valle incantata del cuneese di cui prima o poi forse troverò tempo e modo di parlarvi. Se ne parlo ora è perché domani prossimo il nostro è a Modena, in un concerto gratuito al forum Monzani. Io ci vado naturalmente, chissà magari qualcuno della zona che legge decide di venirci.


Innanzitutto e per capire di cosa stiamo parlano: Roberto Cacciapaglia è un pianista, siamo dalle parti di Ludovico Einaudi per capirci (cioè, sempre che questo vi aiuti a capire, s’intende…).“Ten Directions” significa “In tutte le direzioni”, le otto direzioni della bussola più alto e basso. Luoghi emozionali più che fisici, come si legge dalla presentazione dell’opera. E in effetti essa attraversa quasi tutto lo spettro delle sfumature emozionali, con forse la sola eccezione della rabbia. Il pianoforte di Cacciapaglia, aiutato principalmente da archi, voci femminili e qualche brivido elettrico ci porta a spasso principalmente per luoghi spaziosi e celestiali, a volte malinconici o drammatici, ma più spesso ricchi si sentimenti positivi. Tutte e dodici le composizioni sono ben caratterizzate da un tema forte e inconfondibile, melodici senza essere zuccherosi, immediati senza essere banali, pieni di idee ma senza concessioni al virtuosismo fine a sé stesso. C’è spazio per concessioni al pop, come in “Times”, che ricorda Rondò Veneziano. C’è l’accostamento di sacro e profano in “Handel Hendrix House” che fonde classica e rock. In “Double Vision” predomina il pathos. In “Luminous night” la malinconia, in “Home” la dolcezza. Ma non sono nemmeno i miei preferiti, o meglio i miei preferiti cambiano ad ogni ascolto, a seconda di quelli ai quali pongo più attenzione. Insomma un album davvero perfetto a cui tutti dovrebbero dare almeno un ascolto.

Voto: 9

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Hotel 18 Oct 2011 12:23 AM (13 years ago)


C’è una ragazza che inizia un nuovo lavoro in un hotel, al posto di una scomparsa. C’è un ragazzo che le fa il filo e molti colleghi scostanti. C’è un corridoio buio che non si sa dove finisca. C’è un bosco, la grotta di una strega e una bambola che la rappresenta. C’è un ciondolo che forse è un amuleto.
Ci fosse anche una storia saremmo a posto. E invece…
Ricordo le poche cene inquietanti del trailer di questo film austriaco, passato in sordina per in nostri cinema cinque o sei anni fa. Al tempo non posso dire di “essermelo perso”, ma di certo aveva suscitato la mia curiosità. In questo periodo gira per Rai Movie, spesso ad orari assurdi, mi pare che lo trasmettano di nuovo fra qualche giorno.
Che dire? Un film rarefatto. Pochi dialoghi, nessuna colonna sonora a parte i pochi passaggi di assordante techno nelle scene che si svolgono in qualche locale. Il film dura settantacinque minuti in tutto, ma dopo trenta se siete un po’ stanchi o poco motivati rischiate già che vi cali la palpebra. Io di film poco dinamici, specialmente in campo horror, me ne sono sciroppati la mia parte e se il film è fatto bene la cosa non mi disturba, anzi mi può anche piacere. Anche il fatto che la messa in scena sia scarna in sé non mi disturba, ma il problema è che qui è tutto così ridotto all’osso da rischiare la monodimensionalità dei personaggi e la mancanza di chiarezza. Non solo nelle motivazioni, che ci potrebbe anche stare, ma anche ad esempio della scansione temporale e questo è male.
Ciò detto “Hotel” non è proprio tutto da buttare via, l’impressione è che non mancasse poi così’ tanto per fare un film molto migliore di questo. Bastava arricchire un po’, disseminare le scene di significati che aiutassero lo spettatore a cucirle insieme in una storia vera e propria.

Voto: 5

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My Dying Bride – For lies I sire 11 Oct 2011 10:59 PM (13 years ago)

Ho conosciuto i “My Dying Bride” a supporto degli Iron Maiden al palazzetto dello sport di Modena nel lontano 1995. Per loro era il tour di “The angel and the dark river”. Ricordo che questa band in cui suonava un violino mi colpì ma al tempo avevo occhi solo per gli Iron per cui in fin dei conti non ci badai più che tanto.

Un paio di anni dopo acquistai “Like Gods of the Sun”, leggendo una recensione sul Metal Hammer. Onestamente non avevo nemmeno realizzato che fosse la stessa band, il collegamento lo feci solo dopo, quando ascoltai il cd per la prima volta.
Ah… i tempi eroici in cui non c’era youtube e compravi i cd senza averne mai sentito neppure una nota, così - come dire - a cazzo di cane. Che nostalgia!
Comunque “Like gods of the sun” per me è stato un cd importante, che ho ascoltato e riascoltato mille volte. Un romanzo incompiuto che ho scritto a cavallo del ’98/’99 portava il suo nome (“Come dei del sole”), e non parlo di un incompiuto da dieci o venti pagine, ma di un incompiuto da almeno 150 A4. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia, che meriterebbe un post a sé stante (o anche no…).
Eppure, devo però dire, i My Dying Bride non sono mai diventati uno dei miei “gruppi preferiti”, li ho seguiti per qualche anno, recuperando “The angel and the dark river”, (un cd sicuramente valevole, forse anche meglio di “Like Gods of the sun”…), e poi proseguendo con “34,788%...complete” un cd con qualche spunto interessante ma tragicamente privo di violino.

Li avevo poi lasciati nel 1999 dopo “The light at the end of the world”, un cd che ho trovato davvero indigesto. Pezzi interminabili, chitarre ipertaglienti, ritmiche iperpesanti, voce costantemente abbruttita verso il black: anni luce distante dalla dolcezza decadente di “Like gods of the sun”, “The light at the end of the world” decisamente non era il mio cd. Forse stavo anche cominciando ad averne le palle piene di un certo modo di fare musica, gli addetti ai lavori non lo avevano giudicato brutto… chissà!
Ad ogni buon conto, pensavo che il capitolo “My dying bride” nella mia vita fosse chiuso per sempre. Cioè, lo pensavo davvero? Beh, non è che proprio ci pensassi… anzi a dire il vero proprio non ci pensavo proprio più, poi qualche tempo fa ho tirato fuori dalla mia collezione di cd “Like Gods of the sun” e l’ho messo sul piatto. Saranno stati, che so, cinque anni che non lo ascoltavo più… forse dieci che non ascoltavo qualche pezzo con un minimo di attenzione. Non posso dire che mi piaccia ancora come allora, però di certo ha delle qualità. A tanti anni di distanza la cosa che tollero peggio sono queste chitarre così terribilmente ruvide. Però, ho pensato, chissà: magari anche loro in dieci anni hanno pensato che ammorbidire il suono solo un poco non fosse un delitto. Ho deciso di fare una ricerca sui loro cd più recenti ed ecco qui, mi sono procurato la loro penultima fatica: “For lies I sire” del 2009, dieci anni precisi dopo “The light at the end of the world”: una vita (anche due per quanto mi riguarda…). Avevo anche pensato di sfidare “Envinta”, l’opera che hanno dato alle stampe nel 2011, ma l’idea del triplo cd mi ha scoraggiato. Cd triplo uguale potenziale tripla rottura di cazzo, e/o due cd che non andranno mai (e dico MAI) sul piatto.

Bene, a questo punto che dire del cd in sé? Che effettivamente, dal mio punto di vista è stata una scommessa vinta. I My dying bride sono tornati a cantare con voce pulita (almeno nella maggior parte dei casi), hanno messo la voce più in primo piano, nascosto un po’ quel suono di chitarra lacerante che mi disturbava, rimesso in line-up un violino. Inoltre, cosa forse più importante hanno trovato un giusto equilibrio emozionale, se la dolcezza che traluceva a tratti da “Like Gods of the sun” aveva sempre in sé qualcosa di freddo, o al contrario di melodrammatico (a volte paradossalmente anche le due cose allo stesso tempo), quella di “For lies I sire” non ha paura di mostrarsi e al contempo ha il pudore di non eccedere. Al servizio di questo sentimento c’è una musica essenziale ma mai banale, a riprova del fatto che non è necessario eccedere in virtuosismo per scrivere dei bei pezzi o quantomeno va messo al servizio della partitura (cosa un po’ vera in tutte le arti). E in ultima analisi tant’è, che le partiture di questo “For lies I sire” a me sono piaciute, quasi sempre e a tratti anche molto. Di più, certamente nei pezzi dispari che in quelli pari. C’è infatti in tutto il cd questo andamento un po’ a soffietto, pezzo dolce/pezzo ruvido che solo nell’ultimo – il nono - tenta un po’ una sintesi.
Ciò detto “For lies I sire” è anche un disco complesso, da ascoltare e riascoltare più volte, io l’ho sentito solo tre o quattro, al momento, e ho l’impressione che ascoltandoli di più anche di altri pezzi potrò scoprire la bellezza, probabilmente anche tutti, ma al momento “My body, a funeral” e “Echoes of a hollow soul” sono i miei preferiti in assoluto, due gemme gotiche assolutamente da ascoltare.

Voto: 8

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Una gragnuola di novità 20 May 2011 1:49 AM (13 years ago)

Eccomi qui! Volevo mettere questo post già lunedì o martedì scorso, ma ahimè sono stato io stesso travolto dalla enorme quantità di novità di cui sto per mettervi a parte. Specialmente l’ultima di cui vi parlerò mi ha portato via moltissimo tempo ed energia in queste ultime due settimane.
Innanzitutto, domenica 8 maggio sera c’è stata la premiazione dei “4 giorni corti” di cui il cortometraggio di cui io ero co-sceneggiatore (oltre che comparsa…) era uno dei venti finalisti. C’erano vari premi in palio: primo, secondo e terzo premio della giuria, premio per la valorizzazione di Nonantola, premio assegnato dalle troupe, premio del pubblico. Ahimè il nostro corto non si è aggiudicato nessuno di questi, ma pazienza… già essere arrivati in finale per la nostra squadra è stata una grande soddisfazione! Volevo anche fare una precisazione, la mia memoria aveva trasfigurato una po’ la portata dell’evento quanto a numero di spettatori. Avevo parlato di due o tre migliaia, in realtà facendo un conto a spanne saremo stati un migliaio, che comunque non sono pochi.
Comunque ora il nostro corto è su youtube, per cui potete valutare voi stessi la profonda immensità delle nostra opera!

Seconda novità: il mio racconto breve intitolato “Maschere” è stato selezionato per l’antologia “La paura fa 90” promosso dal sito Bravi Autori che è già ora disponibile su il mio libro. Una pubblicazione è sempre una gran bella soddisfazione. E lo è due volte se, come in questo caso ti trovi al fianco di Danilo Arona, di cui ho molto apprezzato "Cronache di Bassavilla" pubblicato qualche anno fa con Dario Flaccovio Editore.


Terza novità: il racconto che ho scritto per la selezione “Discronia” delle Edizioni XII non è andato in finale. Peccato! In bocca al lupo ai selezionati, tra un po’ si saprà anche a chi andrà il posto nell’antologia. Ma quanto al mio racconto, niente paura, non erano passate nemmeno ventiquattro ore dalla sua bocciatura che già aveva trovato una sua collocazione in Bitmetrics, la casa editrice che ha prodotto la versione xbook per iPad del mio “Il pozzo”. Per la cronaca il racconto si chiama “Il primo Carnevale” e quando saremo più vicini alla sua pubblicazione (magari fra sei mesi, intendiamoci) vi dirò qualcosa in più sulla storia che contiene.
Quarta novità: non ricordo nemmeno se in questo blog ne avevo parlato ma questa primavera insieme agli altri ragazzi del laboratorio Xomegap abbiamo tenuto il nostri primo corso di scrittura. Si è svolto a Modena nell’ambito dell’associazione “Lo sguardo dell’altro”. Mercoledì scorso si è svolta l’ultima lezione del corso e i nostri alunni ci hanno consegnato i loro elaborati finali (racconti a genere libero) che siamo intenzionati a raccogliere in un e-book che metteremo on-line nella seconda metà di giugno. Il corso è andato molto bene, è stata una gran bella esperienza che ci ha fatto crescere molto sia a livello umano che come scrittori. In autunno si replica!
Quinta novità: notizia di oggi stesso, il mio amato Bestaiario è stato accettato nel progetto “Parole doc” patrocinato da Coop estense. Che cosa significa? Che andrà in bell’espositore in un paio di ipermercati della provincia per tre mesi. Potrà sembrarvi una stupidaggine o una location non entusiasmante, ma rispetto alla diffusione cartacea di un’opera come il Bestiario questo gli darà un surplus di vendite e di visibilità notevole. Dovrebbe essere già ora disponibile, oggi mentre torno a casa dal lavoro vado a controllare.
Sesta novità: è quella grossa a cui vi accennavo nello scorso post… quella avvolta da un certo grado di segreto. Come forse sapete il progetto più importante di Xomegap negli ultimi anni è stata una trilogia fantasy denominata Finisterra. Ebbene una casa editrice che ha letto il testo lo ha trovato “interessante”, ed ecco quindi il motivo della mia latitanza di questi giorni. Stiamo rivedendo il tetso a rotta di collo per darlo entro maggio a questa casa editrice in seconda lettura. Se volete qualche informazione la trovate sul blog del progetto!

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In finale! 7 May 2011 5:01 AM (13 years ago)

L’ultimo post di questo blog risaliva al 27 aprile dieci giorni fa: sono stati assai lunghi, intensi e pieni di novità. Della maggior parte di esse vi parlerò in un post all’inizio della prossima settimana (tutte tranne una, la più grossa, sulla quale vige al momento un regime di segretezza…), ma ora voglio spartire immediatamente questa notizia: finchè è fresca, finchè è al suo apice. Anche quest’anno assieme allo stesso (più o meno) gruppo di amici dell’anno scorso abbiamo partecipato ai “4 giorni corti” del Nonantola film festival. Mercoledì 27 aprile ci hanno affibbiato un genere (“Supereroi”), una frase (“Devono essere almeno cento”), un oggetto di scena (un vocabolario), un oggetto di abbigliamento (una coccarda) e una location (l’unica cosa nota fin da subito: Nonantola) e poi niente… un augurio, una stretta di mano e un “ci vediamo entro domenica a mezzanotte”. 4 giorni per produrre un corto di massimo 4 minuti.

Proprio come l’anno scorso sono stati giorni di attività frenetica, notti in bianco, tensioni, scazzi, entusiasmo e grande divertimento. L’anno scorso il nostro lavoro aveva prodotto “Amygdala” un corto fantascientifico invero un po’ ermetico. Quest’anno abbiamo cambiato completamente registro e… i selezionatori hanno apprezzato. Le troupe iscritte erano più di cento, i finalisti selezionati venti e… CI SIAMO ANCHE NOI!
Che dire… niente. Anche perché il filmato non può avere divulgazione prima della finale e per stare nel sicuro di non smaronare non vi dico nemmeno come si intitola né di che parla, appena potremo lo posteremo su youtube e lo linkerò qui. Nel frattempo però vi invito tutti a Nonantola domani sera alle 21 quando sarà proiettato insieme a tutti gli altri finalisti, luogo in cui anche saranno designati i primi tre premi (1000, 500 e 250 € rispettivamente, mica bruscolini!) e varie altre menzioni speciali. Mi raccomando! Non è mica una cosa trista con quattro gatti spocchiosi, che discutono della proiezione di un film di Fassbinder in francese sottotitolato in tedesco, è un evento a cui partecipano migliaia di persone! Beh magari due o tre, di migliaia… che comunque è il minimo sindacale per parlarne al plurale...
Ultima nota, di questa stupefacente opera io sono stato ovviamente sceneggiatore (anzi il co-sceneggiatore, insieme alla mia amica Sara di Xomegap), nonché – e questa è paura vera – anche attore.
Potete perdervi tutto questo?
Secondo me no!

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L’uomo nero e la bicicletta blu 27 Apr 2011 10:57 PM (13 years ago)


Sono un grande fan di Eraldo Baldini.
E’ l’unico autore di cui mi fiondo letteralmente ad acquistare ogni nuova opera - oltre a Martin, almeno per quel che riguarda le “Cronache del ghiaccio e del fuoco”.
Un giorno di questi, quando avrò tempo (leggasi “mai”) mi piacerebbe scrivere un ampio articolo monografico sull’opera di Baldini. Credo sia l’unico autore di cui ho letto praticamente tutto. Non tutto mi è piaciuto da matti, ma la maggior parte dei libri sì. Comunque per farvi un’idea di come è andata con questo libro vi faccio un piccolo calendario. Tenete conto che di solito il tempo morto tra l’acquisizione dell’informazione riguardo ad un libro, l’acquisto e la lettura per me varia dai sei mesi ad un anno e spesso non si concretizza proprio mai.
Venerdì 8 aprile ho scoperto che usciva il suo nuovo libro.
Sabato 9 l’ho comprato e messo sul mio comodino.
Domenica 10 Simona me lo ha requisito (lo aveva pagato lei…).
Domenica 17 lo ha finito e me lo ha restituito
Lunedì 18 l’ho cominciato.
Ieri l’ho finito.
Per un libro acquistato da venti giorni essere già stato letto due volte non è male!

TRAMA: Siamo nel 1963 in un’Italia post-bellica che sta per entrare nel boom economico. Gigi ha dieci anni e vive a Bagnago un paesino del ravennate e il suo sogno più grande è comprare una bicicletta che ha visto in una vetrina del paese. Però costa 20.000 lire, un’enormità per la sua famiglia economicamente disastrata. Si mette allora alacremente al lavoro per racimolare questa ragguardevole somma. Intanto con il nuovo anno si trasferisce nella sua classe una bambina, Allegra, con la quale Gigi stringe progressivamente una tenera amicizia.

RECENSIONE: per la seconda volta consecutiva Baldini ci porta con i suoi libri in un contesto rurale degli anni ’60, verosimilmente quelli (trasfigurati) della sua infanzia: in un’Italia a cavallo del boom economico che non ha ancora perso la sua innocenza.
Si tratta però di un’innocenza feroce.
“L’uomo nero e la bicicletta blu” non è un horror, non ha proprio niente dell’horror. E’ un romanzo di formazione. Eppure è un libro di Baldini al cento per cento. Lo sguardo dell’antropologo fotografa una galleria di personaggi indimenticabili con un tono di elegia comica che scivola a poco a poco nel dramma. Lo fa con gli occhi fanciulleschi del suo protagonista e con un linguaggio in apparenza semplice (ma in realtà affilatissimo) che ti precipita a rotta di collo giù per la pagine senza mai un dubbio di significato.
Sì perché leggere i libri di Baldini è anche un piacere “estetico”: non c’è mai un aggettivo più del necessario, mai un’espressione eccessivamente ricercata e al contempo mai alcuna banale. Chi come me scrive (o ci prova) sa quanto sia stretta questa strada e quanto difficile restare al suo interno tutto il tempo.
Che altro dire? Che “L’uomo nero e la bicicletta blu” è uno di quei libri che vorrei poter dire di avere scritto io. Visto che non è così mi tolgo almeno lo sfizio di consigliarlo a tutti.
Voto: 9.

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Un anno di "Bestiario Stravagante". Ovvero: riflessioni sulla pubblicazione a uso di scrittori esordienti ed emergenti 18 Apr 2011 1:27 PM (13 years ago)

Grossomodo un anno fa usciva il mio primo libro, la raccolta di racconti intitolata “Bestiario Stravagante” di cui, se passate ogni tanto di qua, di certo avrete sentito parlare a volontà. Avevo promesso che allo scadere dell’anno avrei fatto un po’ il punto della situazione e il momento è giunto.

Comincerò con una riflessione. Non sono un neofita assoluto della pubblicazione, oltre ad avere già pubblicato qualche racconto in antologie di autori vari (vedi colonna a fianco…), con il laboratorio di scrittura Xomegap avevamo già dato alle stampe due antologie cartacee delle quali abbiamo poi anche curato la promozione.
Sono state esperienze piacevoli (anche perché condotte con un gruppo di amici) e soprattutto formative. Da queste esperienze sono uscito con una convinzione, che pubblicare qualcosa in Italia non sia poi straordinariamente difficile, il punto è che pubblicando (come spesso accade) con una piccola casa editrice il tuo libro va in stampa ma poi nessuno lo compra, e quel che è anche peggio, nessuno lo legge.
E dopotutto, perché dovrebbero? Con tutto quel ben di Dio che si trova in libreria, a bocce ferme non c’è nessuna buona ragione per cui una persona preferisca il tuo libro a mille altri: tanto più che spesso e volentieri nemmeno sa che esiste visto che non è in libreria. Poi, se per caso viene a conoscenza della sua esistenza può decidere di comprarlo su ibs, al che ci mette tre settimane ad arrivare (disincentivante al massimo…): per di più col ricarico delle spese di spedizione e il costo alto delle basse tirature.
Sia chiaro, questa non è una critica alla piccole case editrici, tra le quali ve ne sono parecchie che lavorano dignitosamente, onestamente e con il giusto entusiasmo. Il punto è che, semplicemente, fanno quello che possono.
E quindi che fare? Se non peschi il jolly con una casa editrice che ti riesce a supportare adeguatamente (il che, diciamo la verità senza piangerci addosso: spesso non avviene perché noi stessi non abbiamo ancora affinato a sufficienza la nostra arte per interessarle) in qualche modo dovrai contare principalmente sulle tue forze.
Per questo, io, come nella miglior tradizione ho elaborato un piano: ho convinto il mio eroico editore (che saluto, semmai capitasse da queste parti…) a pubblicare il mio libro sotto licenza Creative Commons, in modo da poter distribuire contestualmente al cartaceo (costo 10€) anche l’e-book gratuito, nella speranza che le due cose si sinergizzassero a sufficienza da trarre reciproco vantaggio l’una dall’altra. Poi ho cercato di farmi pubblicità come ho potuto: copie promozionali, siti amici, forum, anobii… insomma tutto quello che sono riuscito a scovare nella rete.
Ed eccomi qui.
La domanda centrale è: ha funzionato? Che dire… la verità è che la pagnotta è proprio dura. Sicuramente il mio libro ha avuto una diffusione imparagonabilmente maggiore a quella che avrebbe avuto col solo cartaceo. E grazie alla rete continuerà a diffondersi anche oltre la mia spinta promozionale che, diciamo la verità, è stata a tratti intensa mentre in altri momenti abbastanza deficitaria. Sì perché un problema è anche questo: la promozione fatta così, “casa per casa”, porta via moltissimo tempo e moltissima energia e io di mestiere faccio altro. Anche perchè dovessi campare della mia "arte" (...) dalle mie parti si dice - con riferimento alla cronica denutrizione che ne deriverebbe - cacherei sottile.
Insomma non sono qui a raccontarvi un insuccesso, però nemmeno chissà quale strabiliante successo. Non posso negare che visto l’impegno profuso speravo di ottenere qualcosa di più, in termini di download. La consolazione (non di poco conto in realtà) è che tutto sommato l’accoglienza di chi l’ha letto è stata certamente favorevole.
Quindi in conclusione, ecco i dati:

2500 download circa
100 copie cartacee smerciate circa
Una quindicina tra interviste e recensioni (generalmente positive, con poche eccezioni)
64 utenti di anobii che possiedono il mio libro (in 37 lo hanno votato - media voto 4/5 - in 36 lo hanno commentato)

E’ poco? E’ tanto? Giudicate voi, la vostra opinione è sempre bene accetta!
Se qualcun altro vuole raccontare la sua esperienza, anche meglio.

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Scream 4 15 Apr 2011 11:26 PM (13 years ago)

In realtà l’idea originale era quella di andare a vedere il nuovo di Carpenter, ma sperare che stesse in sala a Modena addirittura tre settimane era davvero troppo. Quando ho consultato “Trova cinema” sono incappato in Scream4, figurarsi che non sapevo nemmeno che dovesse uscire (o se lo sapevo l’avevo dimenticato…) davvero non seguo più il cinema come un tempo – e non è detto che sia un male…


Trama: Dopo dieci anni Sidney Prescott torna a Woodsboro a presentare il suo nuovo libro, un libro in cui descrive come si è finalmente liberata del ruolo di vittima. Ma ovviamente non fa in tempo a mettere piede nella sua cittadina natale che gli ammazzamenti ricominciano…

Recensione: il film comincia con due ragazze in una casa che vengono puntualmente trucidate. Ma non è la realtà: è Stab6 (l’omologo filmico di Scream NEL film), che altre due ragazze guardano sedute su un divano. Le due ragazze si mettono a dibattere di film dell’orrore finché una non ammazza l’altra. Ma nemmeno questa è la realtà: è Stab7 che ALTRE due ragazze stanno guardando in salotto. Che a loro volta vengono trucidate.
Al ché ti chiedi: è Stab8? Avrà mai fine questa catena? Arriverà in sala fino a me? E con un inizio così un po’ ci speri anche, a dire il vero, che appaia Ghostface in sala a redimerti dai tuoi peccati: tipo quello di avere deciso di andare al cinema quella sera.
Non esageriamo. Scream4 non è così brutto. Una caratteristica degli ultimi anni è sicuramente quella che i sequel hanno acquisito qualità. Rispetto agli anni ’80, chi decide di continuare a mungere eternamente la stessa vacca almeno ha iniziato a sforzarsi un po’ di più. Se poi a fare il sequel è lo stesso regista dell’originale e magari il tutto accade a dieci anni di distanza con un vago sapore di nostalgia è persino lecito sperare di divertirsi. E quanto a questo, tutto sommato ci si diverte. Ci si diverte specialmente nei dettagli, il contrasto tra gli – un po’ invecchiati - protagonisti degli originali (Neve Campell, Courney Cox e David Arquette) e la nuova leva di carne da cannone. Ma anche negli accenni di riflessione vittimologia e nell’utilizzo invasivo delle nuove tecnologie (un profluvio di telecamere, cellulari, webcam, blog in diretta). Meno in palla le considerazioni sul “nuovo horror” e sulla sociologia dell’apparire, ma ci possono anche stare. Insomma Craven sembra parlarci sempre più d’altro, a volte lo fa con acume a volte spara un po’ nel mucchio, ma comunque si salva in corner.
C’è pure un po’ di paura in tutto questo? Beh ecco… molta paura la serie Scream a me non l’ha mai fatta, però diciamo che c’è qualche scena ben girata. E la soluzione dell’enigma? Mah! Una qualsiasi, ma almeno con uno straccio di motivazione che non sia: “No Luke io non ho ucciso tuo padre, IO sono TUO PADRE.”
Insomma, come dice il vecchio adagio, chi s’accontenta gode.
A rischio di fare uno SPOLIER (insomma valutate di non leggere oltre…) volevo dirvi anche questo: se il “cattivo immortale” da Hallowen e Venerdì 13 a Nightmare è un classico e se Saw (almeno nel primi tre) inventava il cattivo immortale per accanimento terapeutico, Scream ha inventato una nuova figura, il buono inaffondabile. I cattivi passano, ma Neve Campbell si salva SEMPRE, anche dopo trenta centimetri di lama nella pancia. FINE SPOILER.

Voto: 6.

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"Il signore del canto" di Andrea Franco 11 Apr 2011 11:07 PM (13 years ago)

Era un po’ di tempo che volevo leggere qualcosa della collana fantasy di Delos. Principalmente, lo ammetto, perché volevo vedere come lavora la casa editrice. In particolare era un po’ che giravo intorno a questo libro, dal momento che faceva bella mostra di sé nello scaffale fantasy della Feltrinelli di Modena.
Un paio di mesi fa mi sono tolto lo sfizio.

La trama: ci troviamo in un mondo matriarcale, dominato dalla magia del Canto. Jamis e Elehar, teneramente amici, sono ammessi alla scuola del Canto all’età di dodici anni. A quindici ne uscirà soltanto lui perché lei sarà ammessa alla cerchia più stretta delle maestre dell’arte e di conseguenza condannata a restare per sempre tra le mura della scuola. Ma l’amore di Jamis non si arrenderà…

Commento: Nel complesso mi è piaciuto. E’ ben scritto e ben curato dal punto di vista editoriale, anche se la “confezione” non invoglia fino in fondo. La storia è interessante e in poche pagine (appena un centinaio) ti fa appassionare ai personaggi.
In realtà il limite più grande del testo è proprio questo, la sua brevità. Detto da me è inconsueto, è più comune che io apprezzi la sintesi e condanni invece l’eccesso verbale, ma “Il signore del canto” è davvero asciuttissimo. Qualche pagina in più per descrivere i personaggi secondari, la città in cui si svolge il racconto, per suggerire qualcosa del mondo esterno, e specialmente per dare al climax della storia il giusto respiro avrebbero giovato, perché i presupposti c’erano tutti.
Comunque una lettura che mi sento di consigliare.

Voto: 6.5.

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"Il pozzo" per iPad 7 Apr 2011 10:16 AM (13 years ago)

Da un paio di settimane è disponibile su iTunes store una versione di e-book multimediale per iPad de "Il pozzo", un racconto che ho scritto alcuni anni fa e già edito nell'antologia "Mutazioni" a firma Xomegap, uscita per Giulio Perrone Editore nel 2008. Per chi se lo fosse perso questa versione, uscita per la neonata Bitmetrics, è arricchita da splendide immagini e animazioni, un'ottima versione audio e uno suggestivo sottofondo musicale.
Il racconto in bilico tra fantasy e fantascienza narra di uno strano popolo che vive sottoterra da centinaia di generazioni e della loro ricerca di un mitico "Mondo Estreno".
Buona lettura.

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Silvio Forever 30 Mar 2011 8:12 AM (13 years ago)

L’ho visto venerdì scorso, appena uscito. Lo proiettavano all’Astra, l’unico cinema del centro di Modena sopravvissuto all’avvento dell’epoca dei multisala. L’idea di andare al cinema mi frullava in testa fin dal pomeriggio, e mi stavo chiedendo se in quel cinema si potesse prenotare, perché temevo una ressa notevole.


Non ricordavo quanto fosse grande la sala “Turchese” dell’Astra. Con i suoi 504 posti (fonte Trovacinema) è probabilmente la sala più grande rimasta in tutta Modena. Così grande da sembrare d’altri tempi. Il secondo spettacolo cominciava alle 22.30: noi alle 22, per non correre rischi di arrivare lunghi o che ci toccassero i posti più sfigati, eravamo già lì. L’atrio era vuoto, non c’era nemmeno la maschera. Ad un certo punto è apparsa e gli abbiamo chiesto se si poteva già entrare. Nella sala c’eravamo solo noi, quando il film è iniziato eravamo in 17 (contati).
C’era un tizio in giacca e cravatta dietro le mie spalle che durante i trailer già pisolava. Una signora alla nostra sinistra addirittura russava, suo marito l’aveva messa in quarantena due posti più in là e ogni tanto si sporgeva a scuoterla perché cambiasse posizione smettesse di russare per qualche minuto. All’ultimo momento è arrivato un tizio che se non era Filippo Rossi (il giornalista di Farefuturo web magazine) era la sua controfigura.
In quella sala deserta io e Simona ci siamo lanciati in un poderoso remember di tutti i cinema che c’erano un tempo nel centro di Modena e di come e in che ordine a poco a poco abbiano chiuso, di come ogni autunno dopo la chiusura estiva sfogliassi la Gazzetta di Modena con trepidazione per vedere quali fossero ancora aperti. Di quali erano grandi, quali piccoli, belli, brutti, di prima visione, di seconda visione, d’essai, porno. Di quali hanno tentato, come l’Astra, di rinnovarsi e hanno, magari, resistito per un po’ prima di gettare la spugna.
L’Astra stesso secondo me non se la passa bene, ora fanno uno spettacolo solo ogni sera, tranne che nel week-end.

E il film?
Mi verrebbe voglia di non parlarne nemmeno, potrebbe bastare l’aneddoto sui cinema.
C’è un idea geniale in questo documentario. Non so chi l’abbia avuta (se i registi – Macelloni e Faenza - o gli sceneggiatori – Stella e Rizzo) ma è veramente geniale. A narrare è Silvio Berlusconi, in persona. Le interviste e le sue dichiarazioni, a volte interpretate – ma sempre fedelmente così come riportate – da Neri Marcorè. E’ una vera e propria “autobiografia”, nel senso che tramite le parole del Silvione nazionale apprendiamo moltissime cose della sua vita, a partire dall’infanzia, fino ai giorni nostri. La politica c’è, ma non è la cosa più importante.
Quindi è pro o anti? Né l’uno né l’altro.
Forse perché attraverso le parole di Berlusconi, si parla in realtà dell’Italia.
Che dire… mentre vedevo il film sovvenivano sprazzi di “Morte di un commesso viaggiatore” che ho visto a teatro mille anni fa, interpretato da Umberto Orsini. Mi veniva in mente quella scena in cui i figli del protagonista, scoprono che tutta la prosopopea del padre che si descriveva come il miglior piazzista dell’azienda era una menzogna e in realtà è solo un vecchio rottame.
Intendiamoci, non renderei giustizia a Silvione se lo descrivessi come un vecchio rottame: per quanto poco mi piaccia non metto certo in dubbio il suo essere un “uomo di successo” (però così Berlusconi ne esce dal film. Citando Montanelli: “Il più grande piazzista d’Italia”).
Eppure la secondo me la similitudine è azzeccata nello scarto calcolato tra la realtà e la narrazione ammannita ai figli. Si perché in qualche modo, volenti o nolenti, a mezzo televisivo gli italiani sono tutti figli suoi. Che lo si ritenga modello o tiranno, Silvio Berlusconi sembra essere la cifra di un’Italia che ha chiuso i cinema del centro e ha aperto i multisala, la “pancia del paese”, il suo sogno estetico, il suo abbruttimento etico, il collo di bottiglia di ogni discussione pubblica, il punto di caduta di ogni argomento politico.
Silvio Forever?
Direi di no, per ragioni anagrafiche se non altro. Credo che ci sveglieremo un giorno, da questo stato di coma ipnotico pseudo-onirico, e forse solo allora saremo pronti davvero per cercare di capire esattamente che cazzo ci è successo in tutto questo tempo.

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Il cigno nero 3 Mar 2011 12:57 AM (14 years ago)


Avevo visto il trailer de “Il cigno nero” già un anno fa, nello stesso cinema in cui sabato sera ho visto il film. Era un trailer in lingua originale (forse per questo per me “Il cigno nero” resterà sempre in mente come “Black swan”) buttato lì un po’ per caso che dopo non avevo più rivisto. Però mi ero documentato, avevo seguito le sue avventure festivaliere, le sue candidature all’oscar, sapevo la data d’uscita in Italia da mesi. Da allora a qui ho visto “The wrestler” scoprendo a posteriori che era pure quello di Aronofsky, e mi è piaciuto un sacco. Pochi giorni fa ho scoperto da Film TV che Aronofsky era anche lo stesso di “Pi-greco il teorema del delirio” un film della fine degli anni ’90 che al tempo mi colpì molto per la sua vena di follia. Da ultimo sempre da Film TV ho scoperto qualcosa di più sul tema: il doppio, l’identità, due temi che senza dubbio mi sono molto cari.
Insomma molte, troppe attese, e forse per questo come spesso accade alla fine un po’ di delusione.

Digressione: per capire questo film è indispensabile conoscere la trama de “il lago dei cigni” di Tchaikcovsky, nel film la raccontano con un abile escamotage, io devo raccontarvela a parte, lo faccio qui perché dopo non venga a interrompersi la consequenzialità trama/commento.
In due parole: una ragazza viene trasformata in un cigno bianco da un incantesimo, solo l’amore le ridarà la sua umanità. Arriva un principe e si innamora di lei, la storia sta per avere il suo epilogo positivo ma arriva il cigno nero (interpretato nel balletto della stessa attrice) che seduce il principe e sottrae il suo amore al cigno bianco, il quale per il dolore si uccide.
Insomma il cigno bianco incarna la virtù, il cigno nero il peccato.

La trama: Nina (Natalie Portman) balla in una compagnia di New York. E’ talentuosa e diligente ma anche infantile e oppressa dalla madre. Una nuova stagione sta per aprirsi ed è ora di scegliere una nuova etoile per la nuova stagione, visto che il regista Leroy (Vincent Cassel) è indotto la precedente a ritirarsi. La prima rappresentazione sarà “Il lago dei cigni” e dopo un provino interno Leroy sceglie Nina. La sceglie perché è un magnifico cigno bianco e nonostante sia, di contro, un pessimo cigno nero. Leroy chiede a Nina di imparare ad essere anche un buon cigno nero e questo, l’influenza di Lilly (la sua sostituta, naturalmente assai portata per essere “cigno nero”), la pressione del ruolo che è chiamata a interpretare, conducono progressivamente Nina verso la follia.

ATTENZIONE, QUESTA PARTE CONTIENE SPOILER
Che dire, quindi? Il cingo nero è senza dubbio un film di grande qualità, nonostante l’ostentato pauperismo della fotografia (livida e sgranata) e della telecamera a mano. Gronda del sangue della Portman che per interpretare Nina si è davvero sottoposta a interminabili lezioni di danza, nonché dell’odio del suo personaggio verso di sè. Non sono nemmeno disprezzabili le digressioni psicoanalitiche (molte e nemmeno troppo grossolane), né quelle psichedeliche. Eppure… eppure c’è qualcosa in questo film che non mi ha convinto fino in fondo. Il film è lunghetto e non sempre agile, ha qualche cosa dell’horror ma lancia il sasso e ritrae la mano perché di spaventi veri non ce ne sono. Ma questi sono due peccati veniali. Il problema peggiore è che… beh, tutto va esattamente come ti aspetti. Se “The wrestler” era una storia di redenzione irredenta, “Il cigno nero” è una storia di perdizione imperdita. Insomma come dire che siamo sempre ostinatamente quello che siamo e il cambiamento è impossibile. Ma attenzione, non si tratta di una storiella “morale” (questo almeno no), Lilly che è “cigno nero dentro”, vive benissimo da cigno nero e a noi tutti è pure più simpatica di Nina. Il punto è proprio l’impossibilità del cambiamento. Pare quasi che Nina sia predestinata ad essere “cigno bianco” e non possa essere niente altro che questo. Non può diventare “cigno nero” nemmeno attraverso un confuso tentativo di “liberazione sessuale” o attraverso l’odio… che in ultima analisi è in grado di provare solo per sé stessa. Una storia profondamente tragica insomma.
Quindi qual è il problema? Questo. Che ho sperato fino in fondo ad un rovescio della storia. Un atto di liberazione vero che conducesse ad un finale diverso di quello che pare essergli “necessario”.
E invece non è così, come dice Richard Dreyfuss, interpretando il capocomico di “Rosencrantz e Guildernstern sono morti”: la tragedia procede verso la sua fine naturale, ossia sino a quando tutti quelli che devono morire sono morti.
Voto: 7.

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Discronia 13 Feb 2011 2:40 AM (14 years ago)


Un saluto molto breve a i miei lettori, avrei una quantità di cose da raccontare ma al momento fatico a mettere in fila i molteplici impegni della mia vita, per cui penso proprio che non lo farò... non ora almeno. Ultimo, e molto piacevole peraltro, impegno spuntato in questi giorni: il concept che avevo mandato per la selezione editoriale "Discronia" bandita dalle edizioni XII ha passato la fase di pre-selezione (siamo 9 in tutto) e ora ho fino al 31 di marzo per scrivere il racconto. Il racconto migliore sarà inserito nell'antologia omonima edita verosimilmente in autunno. Se non le conoscete le Edizioni XII sono una piccola casa editrice ma che ha una buona distribuzione e specialmente pubblica opere molto valide e curate, per cui farò davvero del mio meglio, la storia che ho in mente potrebbe essere molto interessante, vedremo se mi riuscirà di svilupparla al meglio. Si tratta di un racconto tra le 12000 e le 40000 battute, non particolarmente lungo quindi nè il tempo è particolarmanete poco, ma alla velocità della mia produzione scrittorica rischia di passare davvero in un lampo, per cui mi sono messo subito all'opera. Notizie seguiranno!

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